E.T. l’extra-terrestre compie 40 anni: nel 1982 Steven Spielberg unisce il cinema dei grandi numeri all’amore per la cinefilia, confezionando un capolavoro eterno
Alle volte, all’interno della complessa analisi dell’evoluzione cinematografica, vi sono alcune opere fortemente rappresentative, che permettono di definire con sorprendente facilità le tappe più importanti della settima arte. E.T. l’extra-terrestre di Steven Spielberg è uno di quei preziosi e rari casi in cui un singolo film può esprimere da solo le rinnovate istanze di una specifica tendenza culturale.
Uscito negli Stati Uniti l’11 giungo del 1982, E.T. nasce dalla richiesta di un sequel per Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), a cui Spielberg rispose con un soggetto slegato dalla vicenda con protagonista Richard Dreyfuss, con un diverso universo narrativo, ma la medesima modalità di rappresentazione fantascientifica. La complessità della pellicola di Spielberg è difficilmente risolvibile in poche righe, ma si può tentare di descriverne in parte la grandezza sul piano squisitamente narrativo. Il regista de Lo Squalo (1975) dirige una raffinata parabola di formazione, in cui la fine indagine esistenziale di un trauma infantile, viene elegantemente celata dietro un plot spettacolare e una cornice visiva semplicemente immortale. Lo spettacolo messo su da Spielberg e colleghi è un testo audiovisivo straordinariamente orizzontale, che riesce a comunicare a più livelli e ad ogni fascia di età. Se da un lato della sala i bambini sarebbero stati incantati dalle coinvolgenti linee d’azione intraprese da Elliot e dal suo simpatico amico alieno, dall’altra gli adulti avrebbero riflettuto sui numerosi temi posti dalla sceneggiatura, tra cui spicca senza dubbio la ricerca di una figura paterna da parte del giovanissimo protagonista.
Un doloroso percorso di crescita “nascosto” dietro l’orgasmo profilmico della Nuova Hollywood
All’interno della fine drammaturgia del film, il personaggio di E.T. si pone come evento scatenante di un doloroso percorso di crescita, in cui il progressivo abbandono dell’età infantile porterà al riempimento di quello straziante vuoto rappresentato dalla mancanza di un padre. Se fino a quel momento il regista statunitense aveva indagato solo velatamente il suo profondo trauma causato dall’assenza del padre, con E.T. l’extra-terrestre Spielberg inaugura una fortunata stagione creativa, in cui il rapporto padre-figlio sarà centrale in diverse pellicole di successo. Da Indiana Jones e l’ultima crociata (1989), passando per Prova a prendermi (2002), fino ad arrivare a Minority Report (2002), Spielberg esplorerà il tema con invidiabile varietà, ritrovando costantemente quella rara coincidenza tra cinema per ragazzi e cinema d’autore.
È proprio in questa prodigiosa coincidenza di intenti che E.T. l’extra-terrestre trova il suo inestimabile valore sul piano qualitativo: una narrazione saldamente ancorata alla struttura aristotelica del racconto (la più diffusa nel cinema classico hollywoodiano), riesce a restituirci sia la spettacolarità del cinema commerciale, che l’approfondimento psicologico del cinema impegnato, attraverso una duplice chiave di lettura. Difatti, gli sfavillanti numeri del botteghino, che solitamente avrebbero fatto da consolatorio contraltare alla severità della critica, saranno soltanto parte dell’universale plauso al film, che verrà incensato tanto dal pubblico, quanto dalla critica specializzata.