Edison – L’uomo che illuminò il mondo: recensione del film di Alfonso Gomez-Rejon con Benedict Cumberbatch, Michael Shannon, Nicholas Hoult, Tom Holland e Katherine Waterston
Quando non si ha voglia di pulire la propria casa, la propria stanza o semplicemente quando non si ha voglia di fare qualcosa, si cerca sempre l’espediente o la scorciatoia che possa liberare dalle incombenze se non addirittura eliminarle come per magia. Si nasconde la polvere sotto il tappeto, si buttano i panni nell’armadio, le cianfrusaglie finiscono in fretta e furia sotto al letto e affiora il sorriso di chi pensa di averla fatta franca con il minimo sforzo.
Non c’è metafora migliore per raccontare cosa sia Edison – L’uomo che illuminò il mondo. Il film diretto da Alfonso Gomez-Rejon, come spesso succede nell’adattamento italiano, già dal titolo rischia di mandare fuori strada i possibili avventori delle sale cinematografiche, non lasciando presagire nulla di buono. Ancora una volta è stata operata la scelta di intraprendere la strada più facile, legando l’intero film alla figura interpretata da Benedict Cumberbatch, tagliando fuori i protagonisti di quella che a conti fatti è invece la guerra per l’utilizzo sistematico della corrente elettrica su larga scala.
Edison – Cumberbatch diventa così il tappeto, mentre lo scorrimento della narrazione diventa il famoso sporco da far scomparire in fretta e furia. Rifugiarsi dietro le spalle larghe dell’attore britannico, sfruttare la bravura e la presenza di Michael Shannon, l’ormai in rampa di lancio Tom Holland si trasforma presto in un paracadute scadente per un evento storico che non decolla mai. Non basta semplicemente dare ad episodi reali e verificabili una fotografia all’avanguardia e un ritmo forsennato per creare credibilità e appeal. Non c’è tempo per lo spettatore di rendersi conto sul serio della materia trattata, come se nemmeno il contenuto informativo del film fosse centrato in pieno.
Considerati tutti questi elementi, è facile puntare il dito contro la sceneggiatura che tiene insieme il tutto. Lo spettatore viene lasciato solo e spaesato, ma allo stesso tempo nemmeno messo in condizione di trovare una coerenza a tutta la costruzione e arrivare a scoprire l’obiettivo del regista / sceneggiatore o il messaggio latente nascosto dietro alla storia.
È proprio quest’ultima a non essere narrata, ma soltanto esibita in un esercizio di stile. Sicuramente innovativo con interpreti che la metà dei registi probabilmente si sogna, ma a conti fatti vuoto e fine a sé stesso. In un cartellone che cerca di dimostrare come il cinema non sia una chimera estiva, sembra di essere alle prese con una furba reclame pubblicitaria: abbiamo il fior fiore degli attori, abbiamo un budget milionario e una storia che difficilmente non ti riguarda, come fai a non vederlo?
La stanza a prima vista è scintillante ma, guardando meglio, dalle zone d’ombra esce fuori un sacco di polvere.