Eileen recensione film di William Oldroyd con Thomasin McKenzie, Anne Hathaway, Shea Whigham, Marin Ireland e Owen Teague [RoFF18]
Tratto dall’omonimo romanzo del 2015, Eileen è un affascinante esperimento cinematografico che tenta di catapultare nel grigiore socio-politico degli anni sessanta quel senso di emancipazione e rifiuto del patriarcato tipico della nostra epoca.
Il regista William Oldroyd si serve delle protagoniste Anne Hathaway e Thomas McKenzie per inseguire e ottenere quella conturbante atmosfera thriller che potrebbe decretare il successo del progetto.
Eileen (interpretata da Thomasin McKenzie) ha 24 anni, una madre morta, un padre veterano ed ex poliziotto e più di un demone assopito nel proprio animo irrequieto.
Districandosi tra i traumi del padre, la ragazza ha passato la propria adolescenza costretta a reprimere con forza le proprie pulsioni, sessuali e affettive, la cui inadempienza ne ha inevitabilmente guastato l’esistenza.
L’incontro con la raggiante e lungimirante Rebecca (interpretata da Anne Hathaway) dona una considerevole dose di speranza ad Eileen, che, fino a quel momento, sembrava covare più di un pensiero ostile nei confronti del resto del mondo e, soprattutto, di se stessa.
L’opprimente prospettiva di una vita da trascorrere tra le ombre dell’affetto non corrisposto e i desideri disattesi viene vitalmente rifiutata da Eileen, grazie alla sua nuova “amica”.
“Ci sono alcuni personaggi che sono destinati a rimanere in secondo piano… dei personaggi secondari e tu, Eileen, sei uno di quelli”.
Così il padre della protagonista sintetizza brutalmente la condizione esistenziale della propria figlia, che, tuttavia, non intende proseguire su questo sconsolato sentiero.
La pellicola, dopo una generosa parentesi introduttiva, inizia a modificare la propria natura filmica, virando verso le sopracitate tinte thriller.
Il tutto squisitamente in sintonia con la metamorfosi psicologica che il personaggio principale compie nel corso del lungometraggio. La ragazza non ha intenzione di rimanere un personaggio secondario e, anche a costo di rifiutare di netto le norme morali che la società impone con una ferrea infrastruttura legislativa, riuscirà a divenire la protagonista del proprio mondo.
La negazione del proprio destino diviene dunque il cuore pulsante, a cui, tuttavia, pare mancare qualcosa. Il finale, difatti, risulta tanto scenografico ed esteticamente appagante quanto in parte inconcludente dal punto di vista prettamente narrativo.
Gran parte delle pinze emotive che la sceneggiatura distribuisce nel corso del suo svolgimento rimangono brutalmente irrisolte, penalizzando inevitabilmente il raggiungimento dell’agognata armonia drammaturgica.
Un film controverso la cui maniacale componente estetica viene coadiuvata soltanto in parte dal singhiozzante svolgimento narrativo, che ne disinnesca parte del potenziale emotivo.