Els dies que vindran recensione film di Carles Marqués-Marcet con David Verdaguer, Maria Rodríguez Soto e Lupe Verdaguer Rodríguez
Presentato al Festival Internazionale del Cinema di Rotterdam a inizio 2019 e passato adesso anche al Cinema Farnese di Roma in occasione del CinemaSpagna – Festival del cine español, Els dies que vindran è un piccolo film intimista spagnolo incentrato su una giovane coppia alle prese con la gravidanza. È il terzo lungometraggio per il cinema del regista Carlos Marqués-Marcet, nato nel 1983 a Barcellona, che con Els dies que vindran chiude un’ideale trilogia tematica sul disamore, che comprende anche l’opera prima 10.000 km, un buon successo in patria, e Tierra firme del 2017.
Attori protagonisti del film sono Maria Rodriguez e David Verdaguer, coppia anche nella vita reale, filmati da Marqués-Marcet mentre aspettavano davvero il loro primo figlio, per quanto nel film non interpretino se stessi ma dei personaggi diversi da loro. Ciò ha permesso a Marqués-Marcet di riprendere con un forte realismo – ma anche con un’apprezzabile discrezione – le trasformazioni sul corpo della madre, fino ad arrivare al momento del parto della bambina.
Els dies que vindran si concentra esclusivamente sulla coppia dei futuri genitori, lasciando del tutto sullo sfondo gli altri personaggi secondari – genitori, amici, colleghi di lavoro – e procedendo talvolta per ellissi temporali. La gravidanza di Vir è sia per lei che per Lluís inaspettata e non pianificata, ma dopo una breve esitazione scelgono di tenere il bambino, a discapito del fatto che convivono da appena un anno; la gravidanza della donna porterà alla luce una serie di tensioni e di divergenze di idee nella coppia, che si separerà e si ricomporrà durante i nove mesi di attesa.
La trama del film è evidentemente molto classica e lineare, una successione di episodi e di dialoghi senza neanche un vero e proprio continuum in cui una scena segue necessariamente l’altra; i due personaggi sono credibili ed empatici, per quanto poco approfonditi, la non-recitazione degli attori, realmente in procinto di diventare genitori, è pienamente funzionale al film. Lo stile di regia è quello classico del realismo cinematografico almeno da Cassavetes in giù, una macchina da presa mobile che segue i personaggi senza molti tagli di montaggio all’interno delle singole sequenze; la fotografia di Alex García è discreta ed equilibrata, senza particolare propensione né per i toni caldi né per i toni molto freddi. Il film prende il titolo da un verso di una canzone, l’ultima che si sente prima del parto di Vir; tuttavia né la selezione né il montaggio in sé delle canzoni che puntellano la colonna sonora brillano per originalità.
Di Els dies que vindran inevitabilmente le scene più belle e toccanti sono quelle del parto, e la scena finale con i titoli di coda che scorrono sull’immagine della neonata Zoe che succhia il latte dai seni della mamma. È insistente il tema dell’assenza di comunicazione, del conflitto verbale, l’idea di una radicale divergenza di idee fra i due personaggi di Vir e Lluís che a lungo sembrano destinati a lasciarsi prima ancora della nascita della bambina.
La classica discussione sul nome da dare alla figlia non è che un’eco attutita di discussioni ben più pesanti circa il loro futuro lavorativo – Lluís accetta un lavoro importante presso uno zio per aumentare il reddito della futura famiglia, ma secondo Vir l’incarico nepotista è degradante e castrante – e circa l’uso dell’epidurale e in generale le modalità del parto – Vir vuole un parto naturale senza epidurale, Lluís dapprima prova a dissuaderla poi la supporta con energia, alla fine sono comunque costretti al cesareo. Queste discussioni fra i personaggi non brillano però né per originalità né per particolare realismo delle battute, a parte qualche singola uscita più interessante.
Il vero “gioco” alla base del film sta nel rapporto fra verità e finzione: come già successo con Le refuge di Ozon, incentrato però su una donna che ha perso il compagno contemporaneamente alla scoperta di essere incinta, assistiamo a una storia in cui gli attori protagonisti vestono panni diversi dai loro, ma al tempo stesso vivono la medesima situazione famigliare dei loro personaggi; ad aumentare il senso di realismo, il montaggio è intermezzato da vecchi video di famiglia in Super 8 girati dai genitori di Maria Rodriguez mentre aspettavano la nascita della figlia.
Nonostante queste particolarità e questi innesti un po’ metadocumentaristici Els dies que vindran è un film fin troppo semplice e intimista, sicuramente vedibile ma decisamente non indimenticabile.