Emanuela Rossi: intervista alla regista e sceneggiatrice di Buio [degenere]

Emanuela Rossi: intervista alla regista e sceneggiatrice di Buio, opera prima presentata ad Alice nella città 2019

Quale è stata la tua formazione e il percorso che ti hanno portato a girare Buio?

Emanuela Rossi: Sono nata nelle Marche, in un contesto che apparentemente c’entrava poco con il cinema. Però mio padre era un grande appassionato del cinema americano, e ci portava al cinema anche a vedere film di guerra, nonostante fossimo tutte figlie (siamo sei!). Inoltre allora in tv si guardavano tutte le sere capolavori (Hitchock, Tourner, Wilder, Fellini etc.), quindi già a dieci anni per forza si era cinefili senza saperlo! Comunque io ho sempre saputo che la mia strada era il cinema però non mi permettevo di pensare alla regia: era impensabile per una ragazza marchigiana allora!
Quindi ho fatto il Dams a Bologna (Storia del cinema) e l’Erasmus a Parigi, e dopo la laurea, per l’altro amore che avevo, la moda e il design, ho iniziato a lavorare al settimanale Grazia, poi vivendo tra Milano e Bologna ho fatto una bella carriera da free-lance a Marie Claire, Casa Vogue, D-Donna, etc.

Un bel giorno però mi sono fermata e ho detto: ma il cinema? Così mollo tutto in breve tempo, lascio Milano e arrivo a Roma, devo dire fortunata perché un ex-compagno del Dams, che aveva fatto carriera in tv e mi stimava mi ha trovato subito un lavoro ben pagato da sceneggiatrice. Ma presto ho capito che fare solo la sceneggiatrice non era per me. Ci vuole un carattere particolare, di quelli che amano operare nell’ombra. Io amo essere in prima linea. Così ho iniziato a frequentare una scuola di recitazione, il Duse di Francesca de Sapio, e qui realizzo quello che sapevo da sempre: volevo fare la regista, anzi, io sono una regista!
Senza aver mai messo piede in un set faccio un corto, Il bambino di Carla che vince Arcipelago e in cinquina ai David di Donatello e ai Nastri d’argento.

Il momento più bello della mia vita. Qui iniziano però i dolori perché ingenuamente credevo che a questo punto mi avrebbero ricevuto tutti i produttori. Nessuno! Quindi faccio altri corti e finalmente ho la grande occasione: mi prendono tra i registi di Non uccidere, la bella fiction di Rai 3 ambientata a Torino dove ho lavorato per due anni. Un periodo incredibile, un sogno per una shooting addicted come me. Ogni giorno, per dieci ore, girare scene una dietro l’altra, pure di episodi differenti, con sceneggiature date anche il giorno prima. Siamo arrivati a 16 pagine al giorno, tra incidenti, crimine, amore, sesso. Però, l’impatto più forte è stato passare dall’idea cinematografica della morte, del crimine sempre visto sullo schermo alla concretezza della realtà dei dettagli di un omicidio. Poi, il colpo di grazia, l’obitorio, quello vero, di Torino. Respirare l’odore della morte per giorni interi mi ha fatto mettere i piedi per terra. Ho capito che non si scherza. Il cinema è finzione, ma se ti dimentichi che alla base c’è qualcosa di reale, vero, spesso terribile, sei un baro.
Insomma, da qui l’idea di un film come Buio.
E di farlo a Torino, città molto amata e dove avevo iniziato un rapporto con quelli della Film Commission Piemonte, che mi hanno infatti ascoltata.

Buio recensione
Buio di Emanuela Rossi

Come è nata l’idea alla base del film, questa Apocalisse inquieta, incerta, a lungo vissuta solo all’interno delle mura domestiche?

Emanuela Rossi: Come primo film, volevo fare qualcosa di libero, e, immaginando di non avere grossi budget, restare la maggior parte del tempo in una casa era la cosa più naturale. Certo mi premeva raccontare un universo familiare chiuso, claustrofobico. A questo si è unita la preoccupazione che ho per il mondo che ho da diversi anni: un mondo sporco, malato, l’hanno distrutto, come dice il padre del film. No, non siamo messi bene nel pianeta, anzi malissimo, e volevo esprime questa mia angoscia nel film. Però, preferivo restare in una dimensione intima, personale, lontanissima dal disaster-movie. Per il budget ovviamente, ma non solo. Mi piaceva, come dici tu, l’idea di un’Apocalisse percepita da bambine, con il loro vissuto, il loro immaginario. Qualcosa d’intangibile, d’invisibile, tutto fuori dalla porta di casa, in un fuori cui loro non hanno accesso. Ma che si nutre, anzi si concretizza proprio attraverso le loro fantasie. Incredibilmente, questa dimensione dopo pochi mesi è diventata reale, nel nostro mondo.

Come si è svolta la produzione del film? Dove si trova la villa in cui sono state ambientate le riprese?

Emanuela Rossi: Il film è stato girato in un comune vicino Torino, Collegno. La villa, settecentesca, sui colli, isolata, mi ha subito colpito per la sua dimensione onirica, fuori dal tempo. I proprietari non ci vivono da tanti anni, e questo si avverte, è tutto congelato, cristallizzato. Ovviamente abbiamo modificato i colori delle pareti e l’arredamento, ma ci tenevo a rispettare l’anima del posto. Un luogo del genere è cinematografico di suo, quasi un topos del thriller/horror. Alla Piano… piano, dolce Carlotta, per intenderci. E mi piaceva la sua specifica italiana. Quanto, alla produzione, compresi i costumi, fatti in parte a mano dalle sarte, c’è stata una settimana sola di preparazione, pazzesco. Nel cinema indie low budget, bisogna fare presto!

Denise Tantucci in Buio
Denise Tantucci in Buio

In che modo hai instaurato il rapporto con le giovani attrici? Come si è svolta invece la collaborazione con Valerio Binasco?

Emanuela Rossi: Questo è il cuore del film. Mentre con la casa siamo andati veloci, con le ragazze sono andata lenta. Lentissima. Con le più grandi, Denise Tantucci/Stella e Gaia Bocci/Luce, dopo averle scelte, è iniziato un minimale lavoro di conoscenza, di avvicinamento. Per cinque mesi sono andata spesso da Roma a Milano e Torino dove vivono per incontrarle e costruire con loro i personaggi. Un lavoro che ho voluto partisse da loro, non da me che mostravo come fare. A volte abbiamo solo chiacchierato, a volte hanno provato un po’. Mi premeva che fossero sempre loro due insieme, mai una alla volta, perché l’obbiettivo era la sorellanza, il senso di famiglia che si doveva creare. Ovvio, Denise doveva un po’ occuparsi di Gaia, perché era più grande. E tutte e due dovevano occuparsi della piccola, Olimpia Tosatto/Aria, di quattro anni, che è arrivata dopo: ovviamente con lei niente prove, era perfetta così! Con Valerio Binasco, per impegni lavorativi arrivato più a ridosso del film, è stato amore intellettuale a prima vista. Che personalità, che cultura! E’ come se avesse portato il logos in una situazione che fino a quel momento era quasi senza parole, più emozionale. Allora si è cominciato a parlare del film. Prima eravamo tre ragazze che si raccontavano un po’ la loro vita, e quella di Stella e Luce…

Uno degli aspetti che mi ha colpito di più di Buio è la ricerca della ritualità da parte delle giovani donne confinate in casa, questo ripetere gli eventi del passato quando ancora la madre era viva e si poteva uscire all’aria aperta. Come è nato questo particolare aspetto della sceneggiatura?

Emanuela Rossi: Quando immagini una storia, prima è una cosa mentale, una linea, ma poi deve diventare carne e sangue. Così, ho provato a calarmi in una situazione del genere. Davvero, con il corpo, non solo con la mente. Bambine chiuse in casa da anni, con poco cibo e aria e con la madre morta. Cosa possono volere, se non cibo, aria e… mamma! Un po’ come il bambino alla fine di The Road, deve tenere il fuoco, il ricordo. Dante dice nella Commedia: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”. Beh, un po’ è vero un po’ no. Un po’ credo per loro è quel piacere masochistico di rimescolare la piaga, un po’ è l’unica cosa possibile. Quei giochi sono il loro nutrimento, il loro cibo. Ovvio che diventino rituali, perché del cibo si ha sempre bisogno, ripetutamente. Anche io amo queste scene. Girare la Festa dell’Aria mi ha emozionato, le ragazze avevano gli occhiali scuri, non vedevano niente, cadevano. Con le tute soffocavano, anche perché siamo stati sempre con le finestre inchiodate, per due mesi. Terribile poi la domanda che aleggia su tutto: Mamma era buona o cattiva? Luce se lo chiede da anni. Perché lei è uscita se non si poteva? Per Stella invece, che conosce i retroscena, la bellezza della Madre è solo luce, è il sole. Infatti, la mamma nel ricordo è sempre tutta gialla, tutta d’oro.

Denise Tantucci, Gaia Bocci e Olimpia Tosatto
Denise Tantucci, Gaia Bocci e Olimpia Tosatto

A ripensarci in questi giorni Buio assume inevitabilmente degli aspetti “profetici”. Pensi che un’Apocalisse possa ridare maggiore valore alla vita per come la conoscevamo prima? Quando usciremo di nuovo di casa, come sarà reicontrarci?

Emanuela Rossi: Tante persone che hanno visto il film a Roma dopo lo scoppio della pandemia e quindi la quarantena mi hanno chiamata, colpite dalla coincidenza. Io no, non mi sono tanto stupita, diciamo che sentivo che qualcosa di enorme sarebbe arrivato che ci avrebbe costretti a stare chiusi, blindati, è una cosa che ho pensato spesso, che ho immaginato negli ultimi anni d’estate, vedendo quanto il sole bruciava. Poi certo se uno un minimo legge Ballard, Philip Dick e certi autori entra un po’ in quell’ottica. Oppure li leggi perché sei già in questo ordine di pensieri, del resto non starci per me vuol dire essere ciechi. Buio infatti verte molto sul discorso della visione: gli occhiali di cecità che mette il Padre alle figlie per impedire di vedere sono il simbolo del suo potere. Come in Buio. Questa dicotomia su cosa è vero e cosa è falso, su cosa si vuol vedere e cosa si vuole rimuovere mi sconcerta.

Qualcuno dice che la pandemia è il sogno di un tiranno, perché con la paura permette di imporre tutte le regole restrittive che vuole. Ma io dico, c’era bisogno di arrivare ad una pandemia, per accorgersi che qualcosa non andava? Non c’erano già i segni prima? Non c’erano già i ghiacci che si scioglievano (pure adesso): non bastava? Dipende da cosa uno vuol vedere. Passata la bufera, comunque, non credo che succederà chissà cosa. Si cercherà di tornare il più possibile alla normalità, si cercherà di rimuovere, di fare finta di niente. Non mi sembra che nessuno stia proponendo interventi strutturali tipo green economy che possa minimamente produrre cambiamenti.

Certo però nelle persone qualcosa è cambiato. Hanno toccato con mano qualcosa di forte. Hanno capito che con la Natura non si scherza, se vuole può sferrare brutti colpi. Vedremo. Nello stesso tempo, queste situazioni “on line”, la vita digitale che stiamo conducendo ci hanno abituato alla mancanza di corpo, ci hanno abituato a convivere con i simulacri delle situazioni, con avatar, riflessi. A qualcuno potrebbe piacere. Spero che non passi però l’idea dello smart working generalizzato. Terribile! La dicotomia vicinanza/separazione sarà il tema del prossimo futuro.

Quando e come sarà possibile vedere il film?

Emanuela Rossi: Buio sarà disponibile dal 7 maggio su MyMovies Live. Penso sia interessante per gli spettatori vedere un film come questo adesso. Certo ora deve passare la legge che permette di avere il tax credit anche se non si esce prima in sala. Il cinema deve cogliere questa opportunità e lo farà.

Intervista a cura di Ludovico

Buio di Emanuela Rossi
Buio di Emanuela Rossi, fresco vincitore del Prix des Lyceens al Festival di Nantes

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