Emily in Paris recensione serie TV Netflix di Darren Star con Lily Collins, Lucas Bravo, Philippine Leroy-Beaulieu, Ashley Park, William Abadie, Charles Martins, Camille Razat e Samuel Arnold
Questa città è così piena di amore, di romanticismo, di luce, bellezza, passione e sesso.
(Lily Collins in Emily in Paris)
Lo sguardo limpido, curioso ed arguto di Lily Collins ci accompagna nella nuova avventura di Darren Star, il re delle serie TV generazionali con Beverly Hills, 90210, Melrose Place, Sex and the City nonché l’indimenticabile Michael Corben di Un agente segreto al liceo.
Emily Cooper, consulente marketing esperta di social media management, con la promessa di essere promossa a senior brand manager nel Gilbert Group, l’azienda in cui lavora a Chicago, si trasferisce a Parigi presso la società di consulenza francese Savoir, specializzata nella moda e nel lusso, che sta per essere acquisita dall’azienda statunitense.
Si tratta di una collaborazione orientativa pre-acquisizione che permetterà al Gilbert Group di tastare il polso del funzionamento e del portfolio clienti di Savoir, oltre che del mercato francese, e l’occasione per iniziare a portare l’approccio al lavoro ed il punto di vista americano all’interno dell’agenzia guidata da Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu).
– Tu vieni a Parigi e non parli francese. Questo è da arrogante!
– Più ignorante che arrogante.
– Beh chiamiamola l’arroganza dell’ignoranza.
(Emily in Paris)
In tutto questo Emily è semplicemente un avventato rimpiazzo, una sostituzione last minute della responsabile marketing Madeline (Kate Walsh) rimasta incinta, professionista con una ultradecennale esperienza in beauty, fashion e luxury, a differenza della nostra Emily che è specializzata nel farmaceutico, settore distante anni luce.
Meticolosa ed ossessiva sul lavoro, con alla mano la tabella dettagliata delle visite del fidanzato Doug (Roe Hartrampf) già programmate in calendario per un intero anno, festività, ponti e ferie incluse, Emily si imbarca in quest’avventura parigina da sogno senza conoscere una sola parola in francese: si scontrerà con il Vecchio Continente e l’altezzosa chiusura dei francesi, tra piccate stilettate di marketing sull’abitudine degli statunitensi di creare prima la malattia, poi la cura e quindi il mercato per le terapie, in riferimento ad esempio all’emergenza obesità negli USA causata dalle pessime abitudini alimentari e alle cure per il diabete di Merck che si sono impennate sul mercato.
Oh mio dio, mi sento Nicole Kidman in Moulin Rouge!
(Emily in Paris)
Anticipiamo subito che i contenuti di marketing di Emily in Paris finiscono qui: è un peccato infatti che il tono della discussione sulle tematiche di marketing scivoli poi via drasticamente banalizzandosi alla gestione dei social media e al copywriting, dove addirittura i piani marketing vengono ridotti ad investimenti alternativi tra campagne pubblicitarie sui media tradizionali e attività di coinvolgimento sui social media, tra il mistero dell’esclusività e l’ovvietà della massima condivisione.
Il presupposto di Emily in Paris, ossia una consulente proveniente dal farmaceutico che cerca di implementare strategie di social media management nel settore fashion & luxury portando il punto di vista statunitense, ossia di coloro che hanno “creato” i social media, ai clienti francesi che dei social media sono maestri in quanto il settore che da essi è stato più influenzato è sicuramente quello della moda e del lusso (leggasi Chiara Ferragni – Unposted), è risibile, e a questo approccio dello script non c’è purtroppo rimedio.
Le persone sono così cattive.
I cinesi te lo fanno alle spalle.
I francesi ti guardano in faccia.
(Emily in Paris)
Tra tentativi mal riusciti di discutere di strategie di marketing ed attività degli influencer, paragonando l’efficacia delle prime al peso dell’influenza delle seconde, la creatività e l’intelligenza di un lavoro di marketing strutturato all’improvvisazione e alla mancanza di interesse per il prodotto degli influencer, calandosi poi avventatamente nella diatriba su cosa sia sexy e cosa sessista, tra l’essere donna e l’essere femminista, e su cosa rappresenti il desiderio dell’uomo per la donna, se sia un segno di devozione o piuttosto una mancanza di rispetto, cercando infine di etichettare il lusso e la moda, con il primo definito dalla sofisticatezza e dal buongusto e non dalla massima condivisione sui social media, e la seconda come l’elemento che dovrebbe rendere bellissime le persone e rispettare chi la indossa piuttosto che ridursi ad un concept privo di bellezza ed eleganza legato a passeggere trovate anticonformiste, la sceneggiatura di Emily in Paris mette insieme un pot-pourri confuso di ingredienti, che ha tuttavia il merito di non prendersi troppo sul serio e passare rapidamente ai momenti di commedia sentimentale più frivoli e divertenti messi in risalto dalla scrittura frizzante di Darren Star.
La nostra plouc, “zotica”, viene accolta nel peggiore dei modi dai suoi nuovi colleghi, sia per il deficit nella conoscenza della loro lingua sia perché spaventati dal fatto che un’americana che vive per lavorare alteri gli equilibri dei francesi che lavorano per vivere, inseguendo un successo economico che per altri è visto come una punizione alla libertà. Emily è resa felice dal proprio lavoro, ma forse non ha ancora realizzato cosa sia la vera felicità.
Ho passato tutta la vita a cercare di piacere.
Ma è un obiettivo deprimente!
(Lily Collins in Emily in Paris)
Diventerà inconsapevolmente una influncer del lifestyle grazie al suo profilo Instagram Emily in Paris attraverso il quale racconta tutti i momenti salienti della sua emozionante vita parigina, tra nuove sfide, nuovi amori, imbarazzi e delusioni, sempre con il sorriso sulle labbra e la voglia di godersi appieno una magica avventura che le permetterà di migliorarsi e riscoprirsi un po’ più parigina, amante della vita e della splendida città che inizierà progressivamente ad accoglierla con benevolenza.
Poco importa che a causa dei suoi autori Emily stessa non conosca la differenza abissale tra marketing e comunicazione: il rapporto teso e sfidante eppure di crescita e scambio reciproco tra Emily ed il suo capo Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu), due donne all’opposto ma ugualmente forti e focalizzate sui propri obiettivi, la folle amicizia con l’eccentrica e spassosa Mindy (interpretata dalla bravissima Ashley Park), l’amore impossibile con Gabriel (Lucas Bravo) e i vari triangoli amorosi nei quali la protagonista si caccerà più o meno consapevolmente apportano ritmo ed entusiasmo alla nuova serie di Darren Star, sorretta da una trascinante Lily Collins e magnificamente calata nell’incantevole atmosfera parigina.
Le frasi di Emily in Paris
Sono la prova vivente che un Master in francese non è uno spreco!
(Kate Walsh in Emily in Paris)
Tutta la città sembra quella di Ratatouille!
(Lily Collins in Emily in Paris)
– Chi è il padre?
– Ah, ci sono un paio di candidati, stava facendo un sacco di sesso pre partenza!
(Emily in Paris)
– Senza piacere chi saremmo?
– Tedeschi?
(Lily Collins e Ashley Park in Emily in Paris)