Emma. recensione film di Autumn de Wilde con Anya Taylor-Joy, Mia Goth, Bill Nighy, Johnny Flynn, Callum Turner, Tanya Reynolds e Connor Swindells
Questi sono periodi insoliti. Periodi complicati, dolorosi, “nuovi”, in un certo senso. Sono periodi in cui la cultura, nonostante tutto, dimostra di voler continuare a sopravvivere. Tempi di riscoperta, ma anche di scoperta. Di tradizione e innovazione.
E, in queste sfortunate circostanze, il cinema continua comunque a vivere. Le sale sono chiuse, ma questo non ha impedito ad alcuni “intrepidi scommettitori” di arrestare la distribuzione delle proprie opere.
In questi giorni è, infatti, possibile trovare sui principali store digitali molti film che hanno saltato l’uscita nelle sale e sono approdati direttamente all’home video, anche se con una formula particolare, probabilmente un unicum nella storia del cinema.
Queste pellicole (disponibili per il solo noleggio) si trovano, infatti, a un prezzo maggiorato, per prevenire (giustamente) le eventuali perdite e coprire il periodo che avrebbe dovuto coincidere con la loro uscita.
Tra queste opere cinematografiche troviamo anche Emma., un film veramente particolare adattato dal romanzo di Jane Austen, nonché debutto alla regia di una formidabile fotografa, Autumn de Wilde.
Emma. (come il romanzo dal quale la pellicola è tratta) è al confine tra il genere sentimentale, la satira e la commedia degli equivoci, in quanto la narrazione, oltre a essere sorretta da relazioni amorose e pungenti critiche allo stile di vita nobiliare, è inframezzata da un susseguirsi di fraintendimenti che portano inevitabilmente a situazioni il più delle volte esilaranti.
Il filo rosso che unisce le vicende nelle quali è coinvolta questa bizzarra quanto verosimile comunità aristocratica dell’Inghilterra di inizio Ottocento è proprio Emma (Anya Taylor-Joy), una giovane ragazza schietta, viziata e, a volte, anche un tantino perfida, ma di un rango tale da essere rispettata e riverita da tutti nella città-personaggio di Highbury.
Protetta dall’ipocondriaco padre (Bill Nighy) e sempre stimolata a battibeccare dal vicino di casa e amico George Knightley (Johnny Flynn), nel giro di qualche mese si troverà ad affrontare diverse situazioni socialmente complicate, corredate anche da più di un fraintendimento con le persone che la circondano; tra tutte, l’amica Harriet (Mia Goth). Ovviamente, durante le sue “avventure”, inizierà a fare i conti con se stessa, con ciò che rappresenta per gli altri e con quello che vuole fare della sua vita.
Un racconto di formazione nel senso più puro del termine. Tuttavia, la vera forza del film non si trova nella narrazione, nonostante sia molto solida e sempre sagace, quanto nella potenza evocativa della messa in scena e del modo di quest’ultima di raccontare molto più di quanto non facciano le parole stesse.
Nonostante il suo debutto sul grande schermo, Autumn de Wilde sembra essere una navigata regista cinematografica (anche se va detto che questa non è esattamente la prima volta che si trova dietro una macchina da presa, in quanto ha diretto diversi videoclip musicali).
Con evidenti influenze dal mondo della fotografia e della pittura, alcune inquadrature sembrano tableaux vivants, estremamente evocative nella loro staticità. La carriera da fotografa e l’esperienza acquisita con essa sono state riversate in questa pellicola con una maestria impeccabile. Merito anche di una direzione della fotografia soave e perfettamente bilanciata che porta la firma di Christopher Blauvelt, nonché dei vivaci e istrionici costumi di Alexandra Byrne, ben rappresentati dai vertiginosi colletti indossati dagli uomini, che sembrano quasi indicare una competizione in atto per provare il loro “slancio” sociale e l’elevato rango al quale appartengono.
L’elemento che stupisce maggiormente di questa narrazione per immagini è la capacità di immortalare la comicità, proprio come se si fosse scattata una fotografia di quel particolare momento. La splendida interpretazione di Bill Nighy è senz’altro funzionale alla riuscita di questi momenti di ilarità quasi immotivata, circostanziale agli eventi spesso narrati, tanto da diventare di frequente parte stessa della scenografia.
E proprio questo camuffamento, questa camaleontica rappresentazione di eventi e azioni, corpi e pensieri, denotano una grande sensibilità artistica, nonché un profondo rispetto per il mezzo comunicativo che l’immagine rappresenta.