Era mio figlio recensione film di Todd Robinson con Sebastian Stan, Christopher Plummer, William Hurt, Samuel L. Jackson, Ed Harris e Peter Fonda
Era mio figlio (The last full measure) scritto e diretto da Todd Robinson si sviluppa su due storyline differenti ma strettamente correlate: una si svolge durante la battaglia realmente avvenuta a Xa Cam My in Vietnam, dove il soldato semplice dell’Air Force americana William H. Pitsenbarger (Jeremy Irvine) sacrificò la vita salvando un gruppo di soldati intrappolati nella giungla vietnamita e sotto attacco dei Vietcong. La trama principale è ambientata circa 30 anni più tardi e ha come protagonista Scott Huffman (Sebastian Stan), un burocrate del Pentagono a cui viene assegnato l’incarico di stilare il rapporto per l’assegnazione della Medaglia al Valore postuma all’eroe di Xa Cam My.
A sostenere Huffman nell’impresa di trovare prove e testimonianze necessarie alla causa troviamo i veterani sopravvissuti alla battaglia e profondamente segnati dalle gesta di “Pits”, tra cui Takoda e Ray Mott, interpretati rispettivamente da Samuel L. Jackson e Ed Harris. Sebbene ispirata ad eventi realmente accaduti, alcune figure e diversi avvenimenti sono stati aggiustati ai fini della storia.
Il personaggio meglio riuscito è anche uno dei pochi a cui il regista ha tenuto fede. Il padre di Pits, Frank Pitsenbarger, ha passato gli anni successivi alla morte del figlio cercando di ottenere per lui il massimo dell’onorificenza militare americana, lottando al contempo contro il cancro. Christopher Plummer fa un ottimo lavoro nel mostrare un padre stanco e consumato ma mosso dall’amore per il figlio e dal desiderio di rendergli giustizia. William Hurt indossa la divisa del commilitone che accompagnò l’amico sul campo di battaglia a bordo dello stesso elicottero sul quale Pits avrebbe dovuto far ritorno.
Era mio figlio tocca nel profondo attraverso lo scorrere dei lunghi dialoghi intercorsi tra Huffman e ciascuno dei veterani, con momenti toccanti regalati da un cast d’eccezione al servizio di Robinson.
Assistiamo da una parte ad una dura critica alla corruzione nel governo americano, dall’altra ad un visto e rivisto inno al sogno americano che forse sgretola in parte la genuinità di una toccante storia di guerra.
Alessio