Estranei (All of us strangers) recensione film di Andrew Haigh con Andrew Scott, Paul Mescal, Claire Foy e Jamie Bell [RoFF18]
D’altronde sesso e morte
è sempre stata un’accoppiata forte
insieme al godimento
c’è il desiderio di fermare il tempo
Cimiterotica – Perturbazione
In All of us strangers ci sono due pezzi – The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood e Always on my Mind dei Pet Shop Boys – che accompagnano la narrazione, ma è difficile non pensare a questo brano italiano per parlare del nuovo film di Andrew Haigh, dove tempo, sesso e morte sono i coprotagonisti di un mondo in cui gli anni Ottanta e il presente sono separati da una linea della metropolitana.
Adam (Andrew Scott in un’interpretazione straordinaria) e Harry (Paul Mescal) sono entrambi inquilini di una struttura moderna nella periferia londinese. Forse sono anche dei fantasmi vagabondi, imprigionati in una rivisitazione contemporanea del canonico cimitero. Di sicuro sono soli e la condivisione di questo status li porta a conoscersi per sviluppare insieme un antidoto fatto di carne e sudore. I loro corpi si avvolgono e si conoscono, la passione fisica accende una relazione sentimentale che rivela il baratro intorno cui All of us strangers camminiamo pericolosamente vicini.
Il regista britannico Haigh si è ispirato al romanzo Estranei di Taichi Yamada nel costruire una storia che flirta in continuazione con la morte e il soprannaturale, mettendo al centro il mondo queer in tutto il suo universale dolore. Il sesso è uno strumento, il sesso è un codice, il sesso è un problema, il sesso è una soluzione e la fotografia di Jamie D. Ramsay riesce a rendere immagini queste affermazioni senza abusare di chiacchiere e dialoghi di servizio.
In questo aiuta molto la naturalezza espressiva con cui l’intero cast – una menzione doverosa anche agli sparring partners Jamie Bell e Claire Foy – interpreta un registro emotivo di inquietudine e malinconia latente, riempiendo ogni volta le inquadrature con un non-detto straziante.
Guardiamo le strategie con cui due solitudini provano a neutralizzare la propria condizione esistenziale. La compensazione immaginaria, l’alcol, le droghe, la scrittura sono i tentativi di riparare vite con danni strutturali importanti, ma l’unico sigillo reale si ottiene con l’accettazione. Lasciar andare dopo aver tirato una linea dritta vuol dire cauterizzare le ferite e ripristinare tutte quelle funzionalità sospese o interrotte per concentrarsi sulla guarigione di quella parte specifica. Il dolore resta ma viene circoscritto ad una cicatrice isolata, la vita torna a scorrere e colpire senza nessuno scrupolo.
All of us strangers è la schiuma poliuretanica che si espande all’istante nei vuoti dello spettatore per manterlo integro. Probabilmente un cult generazionale, sicuramente un’opera capace di connettersi con il dolore di una folla di solitudini che paga in silenzio il prezzo della propria libertà e che si può riscattare solo insieme risplendendo come il firmamento.