Sensazione, reale o illusoria, di benessere somatico e psichico che si traduce in un più vivace fervore ideativo, maggiore recettività per gli aspetti belli e favorevoli dell’ambiente, tendenza a interpretazioni ottimistiche: è questa la definizione di Euforia per la Treccani. Valeria Golino, alla sua seconda opera da regista, sceglie ancora una volta un titolo ossimorico (dopo Miele, che poneva al centro della sua narrazione un tema tabù come quello del suicidio assistito) per parlare degli effetti della morte sulle persone.
Presentato in anteprima al Festival di Cannes (sezione Un Certain Regard), Euforia è una sorta di gemello del film che lo ha preceduto, pur ricercando una dimensione più intima e meno “politica”. La regista parte dal rapporto tra due fratelli, caratterialmente agli antipodi, per analizzarne le reazioni di fronte alla transitorietà della vita e all’ineluttabilità del fato.
L’esistenza di Matteo (Riccardo Scamarcio) viene infatti completamente sconvolta dalla malattia del fratello Ettore (un intenso Valerio Mastandrea) e dalla consapevolezza che, per la prima volta, non potrà essere in grado di governare gli eventi e farli fluire secondo la sua volontà. La Golino tratteggia in maniera delicata e credibile il rapporto tra due fratelli che non si sono in realtà mai conosciuti e che interagiscono più per inerzia che per vero affetto.
Gli scontri, i momenti di avvicinamento, le incomprensioni, la solidarietà: il loro è un vero e proprio viaggio alla scoperta di se stessi e della vacuità delle loro esistenze (in primis quella di Matteo). La misura è la cifra che contraddistingue Euforia: nessuno scadimento retorico o pietismo e un buon controllo a livello emozionale, talvolta anche a scapito della narrazione. Il film soffre, infatti, di una scrittura non puntuale delle figure di contorno (personaggi che vengono totalmente sovrastati dai due protagonisti) e di alcuni passaggi a vuoto in termini di racconto (la visita a Medjugorje sembra un pochino pretestuosa).
Quando la macchina da presa si avvicina a Matteo ed Ettore, però, la narrazione prende vita e regala, anche nelle sue scene madre, momenti di profonda verità. Pur nella sua imperfezione, Euforia cerca percorsi diversi e si allontana dalla programmaticità, trovando la sua forza nella delineazione di sfumature nuove, lontane dagli standard a cui siamo abituati.
Valeria Golino riesce quindi a confermarsi, dimostrando che il passaggio dietro la macchina da presa, quando si hanno alle spalle anni di onorato servizio, non è tanto una naturale conseguenza quanto l’esigenza di proporre la propria visione di cinema. E la sua è coerente e stimolante.
Sergio