Eureka recensione film di Lisandro Alonso con Viggo Mortensen, Chiara Mastroianni, Alaina Clifford, Sadie Lapointe, Viilbjørk Malling Agger, Adanilo e Marcio Marante [RoFF18]
Visioni fordiane e dannazioni bibliche. Così si apre Eureka, una matrioska di storie che si intrecciano nei secoli e negli stili. Provare a mettere per iscritto quanto viene raccontato nel film di Lisandro Alonso risulta alquanto complesso, ma possiamo dire che vengono presentate tre vicende differenti, connesse e slegate al contempo.
La prima è una storia da western americano che ci fa immergere in un mondo di frontiera ai confini della civiltà, dove la morte è così usuale che riposa sul letto al posto dei vivi. Un padre desideroso di ritrovare sua figlia (Viggo Mortensen) non ha timore di farsi avanti a forza di colpi di pistola per riaverla tra le sue braccia.
La seconda segue le peripezie notturne di un’agente di polizia nativa americana all’interno della riserva nella quale è confinata con la sua gente, sola, senza rinforzi, ultimo baluardo della legge, in una terra così devastata dalla sua condizione di malessere da non rappresentare neanche più una minaccia.
Infine, si lasciano le steppe americane per raggiungere la fonte del Rio delle Amazzoni, dove un indigeno lascia la sua tribù per cercare fortuna nel “nuovo mondo”, anche se sono ormai gli anni ’70 e il tanto agognato “nuovo mondo” non è incline ad accogliere chi è rimasto indietro.
Queste le tre storie senza cornice compongono un bizzarro viaggio nel peccato della colonizzazione. Tre storie che Alonso ci racconta con un immobilismo senza precedenti, in cui il silenzio regna sovrano e ogni accompagnamento musicale è bandito. Le lunghissime, quasi eterne dissolvenze incrociate che suturano le sequenze restituiscono perfettamente il lentissimo incedere di questa storia americana, esplorata attraverso tre differenti modalità di linguaggio cinematografico.
L’episodio western, il più riuscito, il più diretto e anche il più ispirato, attinge a piene mani da tutto quel cinema di genere a cavallo tra anni ’50 e ’60 che ha definito una generazione di cineasti, dall’ultimo Ford a Peckinpah. Quello della poliziotta notturna richiama un cinema contemporaneo alienante, pieno di inquietudine, che mostra i silenzi, le attese, i vuoti nella vita di individui perduti nel vasto territorio del presente, dimenticati da tutto e tutti.
Infine, nel Brasile degli anni ’70 si torna con un occhio pasoliniano, saturo di colori, di volti scavati dal tempo e dalla natura, come formazioni rocciose che abitano questa terra da molto prima dell’arrivo dell’uomo civilizzato.
Sono tre storie molto diverse che fondano una narrazione cinematografica lontana da quanto siamo abituati a fruire oggigiorno, così assuefatti dalle immagini che vogliamo ingerirle in una manciata di secondi, avidi di suggestioni audiovisive.
Eureka è quasi una raccolta di racconti del terrore di un popolo da sempre ai margini della società, per il quale il tempo fatica a scorrere e fa sentire ogni rintocco.