Favola recensione del film diretto da Sebastiano Mauri con Filippo Timi, Lucia Maschino, Luca Santagostino, Sergio Albelli e Piera Degli Esposti
Le brave bambine vanno in paradiso, le cattive bambine vanno ovunque.
(Favola)
Trasposizione dell’omonima pièce teatrale di Filippo Timi scritta per il Teatro Franco Parenti nel 2011, Favola mantiene la struttura teatrale creando per lo spettatore un nuovo e originale punto di vista. Tra melodramma e cinema classico americano, il film è un opera queer che utilizza immagini grottesche e surreali per raccontare una storia che si rivelerà più tragica di quanto possa inizialmente sembrare.
Favola: la trama
Mrs. Fairytale (Filippo Timi) è una casalinga e consorte impeccabile che non desidera altro se non soddisfare i desiderio del marito Stan (Sergio Albelli), un uomo violento che la picchia tutti i giorni. Sue compagne e fonti di conforto sono la sua cagnolina Lady, una barboncina impagliata, e l’amica Emerald (Lucia Maschino), con la quale la protagonista inizierà una relazione dopo la scoperta della prima del tradimento del marito con i tre gemelli Ted, Tim e Glenn (Luca Santagostino). All’interno di una casa le cui finestre affacciano al contempo sui grattaceli di una metropoli, sulle case dei sobborghi, sul deserto e su una folta vegetazione, e dove Mrs. Fairytale con le sue parole plasma la realtà, ella riuscirà con coraggio a svegliarsi dalla favola in cui si era rifugiata tornando alla realtà.
Melos e topos del cinema americano per un racconto metacinematografico
Il melodramma è un genere narrativo che ha la capacità di esprimere l’emozioni attraverso forme puramente oniriche e di rappresentare il conflitto drammatico nella sua quintessenza. Sebastiano Mauri, a partire dall’opera di Filippo Timi, realizza un lungometraggio sfruttando, nella sua completezza, le potenzialità di un genere quale il melos unendole ai topos del cinema classico americano. Favola è ambientato negli Stati Uniti degli anni Cinquanta e diventa un racconto metacinematografico che gioca con la rappresentazione della protagonista: Mrs. Fairytale è la perfetta casalinga protagonista delle sitcom statunitensi quali The Donna Read Show, ma le limitazioni e le censure operate dal codice Hayes si trasformano nella mani di Mauri e Timi in gag che decodificano gli stereotipi. Un operazione esilarante come quando i personaggi di Favola si sfidano a nominare l’organo sessuale maschile o la parola omosessuale, così come le omissioni del cinema dell’epoca divengono ora pretesti per creare sottintesi, elementi ironici che rivendicano l’emancipazione dei personaggi creando una via di fuga momentanea dagli eventi drammatici delle loro vite.
Il mondo perfetto, felice e ordinato si disvela mostrandosi luogo di segreti e verità inconfessabili. Fin dalle prime battute si avverte che sul mondo della protagonista grava un mistero, un’ambiguità, una minaccia che si paleserà nel corso del lungometraggio attraverso una serie di indizi, immagini la cui semantica permetterà a spettatori e spettatrici di ricostruire la realtà che Mrs. Fairytale ha riscritto attraverso una favola che apparirà sempre più oscura. La favola è un sogno, un esperienza onirica della protagonista, la quale riscrive i conflitti della sua vita all’interno di un mondo conformista, di una società in cui le identità personali sono così rigide da essere invalicabili. Il mondo creato da Mrs. Fairytale, tuttavia, non ha nulla di conforme: è grottesco, surreale, la luce e il buio si alternano, il pavimento può improvvisamente inclinarsi e i vestiti cambiare con uno schiocco delle dita; e in cui la realtà, con i suoi conflitti e sofferenze, appare intrappolata nello schermo della televisione.
Favola: identità di genere e la catarsi dell’eroina
Mrs. Fairytale e Stan, il marito violento e abusivo, sono la stessa persona, ella è una paziente dell’ospedale che vedevamo all’interno dello schermo televisivo, i tre gemelli sono un infermiere e la sua amica Emerald è una dottoressa. La protagonista è stata fatta ricoverare dalla Madre (Piera degli Espositi) che non accetta la figlia transgender. L’identità di genere è una delle tematica centrali del film, proprio per questo motivo il nome è un elemento narrativo fondamentale, tanto da essere una presenza ridondante sin dall’inizio dell’opera. Nel corso del lungometraggio Mrs. Fairytale si sofferma in più occasioni a pensare a quale nome può dare a un oggetto presente nella sua casa, poiché come da lei dichiarato il nome è «[…] qualcosa di molto importante. Nel nome sta scritto il carattere di ognuno di noi».
Ed è su due nomi che il film si chiuderà con una struttura a cerchio perfetta. Emerald si è innamorata di una paziente in cura presso la clinica in cui lavora e rimasta incinta decide di far fuggire l’amata. Durante la fuga e l’inizio delle contraddizioni della compagna, la protagonista torna a riflettere su che nome dare alla figlia insieme alla Madre che lo chiama Stan, ella ferma immediatamente la macchina, per poi ripartire nel momento in cui la madre prende coscienza finalmente che quel nome non definisce la figlia. La violenza dell’ultimo atto dei melos corrisponde alla catarsi tragica: la virtù, l’eroina, viene liberata da ciò che impediva la realizzazione del desiderio e la minaccia viene eliminata davanti a una collettività che la riconosce come malvagia. Nel melodramma la minaccia che incombe ed imprigiona le virtù degli eroi ed eroine, un valore personale e una morale, diviene un problema politico immediato e quotidiano, una lotta incessante contro nemici interni ed esterni, modificando il sistema etico e morale.
Favola trasforma lo schermo in un tableau ricco di suggestioni visive e di significato, offrendo a spettatori e spettatrici uno scontro eroico, un viaggio verso il riconoscimento del sé. Come affermato da Peter Brooks i melodrammi hanno il dono nella nostra cultura di aiutarci a capire con quali forze dobbiamo misurarci e di quali mezzi, sia pure limitati, disponiamo per affrontarle.