Fellinopolis recensione documentario di Silvia Giulietti su Federico Fellini con Lina Wertmüller, Nicola Piovani, Dante Ferretti e Ferruccio Castronuovo
Tra i molti titoli di questo tipo realizzato per cavalcare l’onda del centenario della nascita di Federico Fellini (1920-2020), Fellinopolis di Silvia Giulietti spicca per la sua abilità nel portare lo spettatore letteralmente dentro i set del regista riminese, con grande attenzione soprattutto a film dell’ultima parte della sua carriera come La città delle donne, E la nave va e il penultimo Ginger e Fred. Il documentario della Giulietti è infatti basato su tre precedenti film di Ferruccio Castronuovo, una figura molto presente sui set del cinema italiano degli anni settanta, ottanta e novanta, specialista nella realizzazione di lunghi documentari di backstage.
Quasi quarant’anni dopo la loro prima messa in onda, Silvia Giulietti ha co-finanziato la digitalizzazione di questi lavori di Castronuovo, i cui spezzoni compongono gran parte dell’asse narrativo del documentario; a puntellarne la narrazione, interviste originali e di archivio con alcuni dei collaboratori più stretti di Fellini oltre allo stesso Castronuovo, tra cui personalità d’eccezione come lo scenografo Dante Ferretti, il compositore Nicola Piovani e la regista Lina Wertmüller, aiuto di Fellini all’inizio della sua carriera.
Grazie a questa compresenza di materiali di backstage a lungo finiti nel dimenticatoio e interviste molto puntuali e al tempo stesso appassionate, Fellinopolis è capace più di altri documentari a cogliere l’essenza del fare cinema di Fellini, non tanto il senso dei film finiti quanto il cuore stesso della sua attività sul set.
Non mancano notazioni tecniche relative alla costruzione delle scenografie, soprattutto quelle de E la nave va: “per Fellini il mare era soprattutto una sorta di suggestione da trasferire al pubblico“, ricorda Ferretti che per il film realizzò una sorta di mare di plastica trasparente, mentre Castronuovo ricorda come i sistemi idraulici su cui era montata la nave provocassero il mal di mare agli attori e alla troupe. Sorprende soprattutto il modo al tempo stesso metaforico e preciso con cui Fellini dava indicazioni ai suoi collaboratori, con Piovani che ricorda con un sorriso come il maestro riminese gli avesse chiesto, per il finale di Ginger e Fred, una musica “tronfia, spocchiosa, ripetitiva, cinica“, “ma mi raccomando, falla anche bella“.
Il cinema di Fellini era anche una grande carrellata di facce difficilmente dimenticabili, tanto di dive e divi quanto di non-attori presi letteralmente “dalla strada”; e oltre a sentire la Wertmüller che ricorda come il regista di 8½ spesso inseguisse le persone per strada se riteneva che il loro volto fosse adatto al suo prossimo film, grazie alle riprese di Castronuovo Fellinopolis ci porta in mezzo alle comparse, agli attori non professionisti e in generale alle facce che popolavano i set di Fellini. Purtroppo come molti documentari anche questo si serve di superflue “coperture” realizzate nella Cinecittà e nelle strade della Roma di oggi per intervallare e accompagnare le interviste, ma sono in una percentuale irrisoria rispetto alla durata complessiva del film, ben equilibrato nelle sue parti; fra i materiali di Castronuovo s’intravede più volte anche il volto dello schivo Peppino Rotunno, direttore della fotografia di Fellini scomparso all’inizio dell’anno.
Il senso dell’operazione di Silvia Giulietti sembra essere ben riassunto in una frase che dice Piovani: “Federico aveva una visione della contemporaneità fortissima. Era sempre sull’oggi“. Fellinopolis rappresenta allora un documento interessante e piuttosto “generalista”, capace di ricostruire e in un certo modo anche di introdurre i neofiti all’universo felliniano.