Chi troppo, chi niente, chi troppo poco. I premi non fanno un film. Ma fanno parlare. Parliamo dunque del riconoscimento regina, la Palma d’oro, e della corte di assegnazioni minori. Ma venire menzionati in sala Lumière, alla fine di un Festival di Cannes di qualità continuativa e ritrovata, non è ottenimento da poco.
Chi troppo: in primis lei, la Palma. Al sudcoreano Parasite di Bong Joon-Ho. Un film efficacissimo nella messa in scena. Il massimo alloro era stato chiamato, al momento stesso della presentazione festivaliera di questa commedia nera. Ma per quanto il congegno funzioni, la riflessione sociale e l’effetto sorpresa non vanno del tutto a segno. Si ride, si sorride, ci si intrattiene. Dovrebbe anche fare pensare, dicono… Che invidia per chi ci riesce!!!
Chi troppo poco: Antonio Banderas è miglior attore, per Dolor y gloria, del sodale Pedro Almodovar. Le solide basi divistiche dello spagnolo, sembravano becchettate alla base dalla gallina Rosita, di una famosa pubblicità. Che gioia allora, ritrovare in bella forma uno dei divi europei di riferimento negli anni Novanta. Ma Dolor y Gloria è il solo capolavoro di Cannes 2019. Meritava la Palma. E senza la Palma, che Pedro non ha mai vinto, sarebbe stato quasi meglio uscire a mani vuote. Il premio a Banderas pare consolatorio. Vale lo stesso per la migliore sceneggiatura di Portrait of a Lady on Fire.
Poteva essere il migliore spot #MeToo, questo bellissimo sentimentalone ambientato nel XVIII secolo, diretto dalla francese Céline Sciamma. Il Festival continua a non essere un paese per signore. L’occasione può dirsi mancata. Les Misérables di Ladj Ly (Francia) è il Premio della giuria (ex aequo con il brasiliano Bacurau, di Mendonça Filho e Juliano Dornelles). Un film forte, intelligente e colto. Citare Hugo e non esserne travolti è un test di collaudo. Da qui escono 2/3 scene da portare nel taschino della memoria.
Chi niente: Mektoub, My Love: Intermezzo del franco tunisino Abdellatif Kechiche è un’opera coraggiosa, che pretendeva di essere pagata con la stessa moneta. È un film imperfetto, arduo ma filmicamente importante. Resterà.
Le Jeune Ahmed dei Dardenne, premio alla regia, è un gran bel film. Intenso e contemporaneo. Con i due fratelli belgi ai livelli migliori. In Croisette non è stato molto amato. La giuria l’ha premiato. Bene così.
Gli altri: The Invisible Life of Eurídice Gusmão del brasiliano Karim Ainouz ha vinto la sezione Un Certain Regard. La complicata esistenza di due giovani donne nel Brasile anni Cinquanta. Coinvolge, anche emotivamente. È un film destinato a non invecchiare. Forse però, perché è nato già vecchio. Di più moderno, davvero non c’era nulla? La migliore opera prima, porta a casa la Camera d’Or, è il belga – guatemalteco Nuestras madres di César Diaz (presentato a La Semaine de la Critique). Un figlio, una madre, il padre scomparso in guerriglia. È piccolo, doloroso e intimo. Fa male e fa voler bene.
Educazione vuole, non parlare dei film non visti. Così, da questo pezzo mancano riferimenti a: Atlantique, Bacurau, It Must Be Heaven, Little Joe. La giuria presieduta da Iñarritu non ha brillato in personalità, al momento del verdetto. Molto meglio, l’anno passato, quella a guida Cate Blanchett. Comunque, non drammatizziamo… è solo questione di premi.
LE ALTRE RECENSIONI DAL FESITVAL DI CANNES 2019
Sibyl di Justine Triet
Il Traditore di Marco Bellocchio
Matthias e Maxime di Xavier Dolan
Roubaix, Une Lumiere di Arnaud Desplechin
A Hidden Life di Terrence Malick
Federico