Finalmente l’Alba recensione film di Saverio Costanzo con Lily James, Rebecca Antonaci, Joe Keery, Rachel Sennott, Alba Rohrwacher, Willem Dafoe e Michele Bravi [SKY e NOW]
C’è stato un tempo in cui Hollywood stazionava sulle sponde del Tevere. Negli anni ’50 Cinecittà era luogo quasi di culto per i cineasti di ogni dove che, spesso e volentieri, si insediavano nella città eterna mutandone il fascino e ampliandone il mistero
È in questo periodo storico ben definito che si colloca la storia di Mimosa (Rebecca Antonaci) una giovane donna pronta a convolare a nozze con Angelo, mite ragazzo e buon partito, che lei però poco soffre.
Quando la sorella, aspirante attrice, si reca a Cinecittà per un provino, lei la accompagna e si ritroverà, suo malgrado, ma forse neanche troppo, protagonista di un’avventura, lunga una notte, che la segnerà per sempre.
L’evidente confusione che si percepisce dalla trama di Finalmente l’Alba è il chiaro segno che Saverio Costanzo, quando si è approcciato a questo film, avesse in mente ben altro.
È lo stesso regista infatti ad aver ammesso che inizialmente l’idea era quella di raccontare la storia della giovane Wilma Montesi il cui omicidio, avvenuto nell’aprile del ’53, venne definito il “primo caso di omicidio mediatico” su cui la stampa costruì infinite e inconcludenti teorie. La più nota di queste coinvolgeva diversi politici e annessi festini a base di sesso e droga, nell’allora rinomata tenuta di Capocotta.
Ed è proprio a Capocotta che si trova la villa dove Mimosa viene condotta dai suoi nuovi amici, capitanati da Josephine Esperanto (Lily James), diva americana, protagonista assoluta del kolossal in cui la ragazza quello stesso giorno ha partecipato come comparsa luogo che diventa teatro del viaggio iniziatico che la vede come unica partecipante.
Come una moderna Alice nel paese delle meraviglie – anche se qui di meraviglie ve ne sono davvero poche – Mimosa si aggira per la tenuta incappando in personaggi viziosi ognuno dei quali sembra avere, come unico scopo della vita, quello di indurla al peccato e alla perdizione
È evidente e netto il riferimento alla storia di Wilma Montesi che Mimosa incontra sul suo cammino in diverse occasioni. La prima volta attraverso un cinegiornale che ne racconta il fatto, poi nei riferimenti della notte di perdizione che vive e di cui Capocotta sembra quasi portavoce e, infine, sulla spiaggia che Mimosa percorre all’alba, dove trova la croce e i fiori nel posto in cui il corpo della giovane donna era stato rinvenuto.
Questo continuo rimando ai fatti di cronaca nera finisce per intaccare la narrazione che prende una piega diversa seppure molto simile alle supposizioni che ruotano intorno ai fatti non lasciandoci intendere quale sia il vero scopo del regista.
Forse un modo per sostenere la sua tesi su un omicidio tutt’ora irrisolto? O vuole solo dirci che, dopotutto, Mimosa è una sopravvissuta e che Wilma Montesi poteva essere una qualunque di noi? Non è chiaro e non lo sarà neanche dopo i titoli di coda.
Certo è che diventa difficile anche dare una collocazione di genere alla pellicola di Costanzo, che parte con tono sommesso e gioviale per trasformarsi poi quasi in un thriller dalla tensione palpabile che rende, almeno nella parte centrale del racconto, la visione molto piacevole ma che alla fine ci restituisce il frutto di quello che: un viaggio di maturazione lungo una giornata.
Finalmente l’Alba finisce per essere un inno alla bontà d’animo. Dopo tutto quello che vede e sente la protagonista riesce comunque a restare sé stessa, a trovare quasi conforto dalle disavventure che vive che sembrano darle il coraggio di accettare la sua vita semplice. Alla fine resta lei l’unica autentica e sincera in un mondo di apparenze e finzione.