Food For Change recensione documentario di Benoît Bringer presentato al Terra di Tutti Film Festival
“Il vostro piatto è legato a tutti i problemi che il nostro pianeta sta affrontando oggigiorno. L’aumento delle temperature, l’inquinamento atmosferico, dei fiumi e degli oceani, la perdita della biodiversità o addirittura l’uso improprio dell’acqua. E sapete cosa vi dico? Questa potrebbe essere un’ottima notizia. Perché se cambi il modo in cui mangi ogni giorno puoi proteggere il pianeta e, con esso, l’incredibile e meravigliosa natura di cui godiamo oggi”. (Benoît Bringer, regista di Food For Change)
Cambiare il mondo con un piatto. Costruire un futuro migliore attraverso un ripensamento delle nostre abitudini alimentari. È la rivoluzione in forchetta che auspica Benoît Bringer col suo Food For Change, arguta indagine ecologista sul nesso tra cibo e inquinamento.
I dati sono inconfutabili: ogni anno nel mondo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecati. È un terzo di tutto il cibo che viene prodotto. Se lo spreco alimentare fosse una nazione, sarebbe il terzo maggior produttore di gas-serra al mondo. Come se ciò non bastasse, nello stesso periodo di tempo, 13 milioni di ettari di foresta scompaiono per far spazio alla coltivazione intensiva.
“Una cosa che trovo davvero particolare” – osserva Jane Goodall, primatologa ed antropologa, autrice di Harvest For Hope: A Guide to Mindful Eating – “È che il metodo moderno dell’agricoltura industriale viene chiamato convenzionale. Perché, in realtà, non c’è niente di convenzionale in tutto ciò”.
L’uso industriale dell’agricoltura ferisce il territorio, aggredendone la biodiversità; il ricorso ai pesticidi avvelena il cibo ed inquina il sottosuolo. In parole povere, o sarà transizione alimentare o sarà disastro ambientale. Come invertire la rotta? Come far sì che il rapporto uomo-natura recuperi l’indispensabile equilibrio?
Bringer fornisce la risposta attraverso degli esempi virtuosi: a Mouans-Sartoux (Francia), la mensa scolastica viene rifornita con verdure biologiche auto-prodotte nella fattoria gestita da Diana con l’aiuto degli stessi studenti. A Parigi, lo chef François Pasteau utilizza per i suoi piatti alimenti vegetali unicamente locali e stagionali (Non bisogna andare contronatura. Occorre aspettarli, invece che cercarli per mezzo mondo) abbattendo i costi attraverso l’utilizzo dell’intero prodotto. Nella stessa capitale francese, il ristorante Plaza Athénée di Alain Ducasse si fregia delle tre stelle Michelin nonostante il menù esclusivamente a base di verdure, dimostrando che anche senza carne si possa fare della gastronomia d’alto livello. Allo stesso modo, lo chef Gilles Daveau nella sua “Scuola di cucina alternativa” insegna un differente ricorso all’arte culinaria attraverso la riscoperta di prodotti poco conosciuti come cereali e legumi.
Insomma, la transizione alimentare ed ecologica è possibile partendo dal basso, migliorando i nostri comportamenti individuali, prendendo coscienza di quanto questi possano influire sull’intero ecosistema; perché – osserva lo stesso Daveau – si può combattere il cambiamento climatico “semplicemente pranzando, semplicemente imparando come mangiare bene”.
Una manna dal cielo non solo per il nostro pianeta, ma anche per la nostra salute, dal momento che – ci ricorda Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute per la ricerca sull’impatto climatico – “il cibo spazzatura è la maggiore causa mondiale di malattie e mortalità prematura”.
Non sono, però, soltanto i comportamenti individuali – ricorda Bringer – a condurci alla rivoluzione alimentare. Occorre, infatti, che anche dall’alto giungano segnali positivi; così come accade in Svezia dove, nelle scuole di Malmoe e Lund, c’è il “pranzo pedagogico” a base di prodotti quasi totalmente biologici: “Significa che, mentre pranziamo con i bambini, stiamo ancora insegnando” – spiega l’insegnante Hayley Wood – “Diciamo ai bambini che devono scegliere cosa mangiare, ci assicuriamo che facciano pasti bilanciati, cerchiamo di avere un approccio consapevole al cibo”. Virtuosità alimentare “di Stato” non isolata, quella svedese, se è vero che anche altre nazioni come Portogallo, Finlandia e Francia servono nelle scuole menù alternativi vegetariani.
E se è altrettanto vero che il contraddittorio Brasile, pur afflitto dalla deforestazione e dalla distruzione dell’ecosistema a causa delle coltivazioni industriali sterminate, è da considerarsi un autentico pioniere dei programmi di catering scolastico, grazie alla legge voluta nel 2010 dall’allora presidente Lula, mediante la quale, oggigiorno, si servono nelle scuole, favelas comprese, prodotti naturali e biologici forniti per almeno il 30% da aziende agricole a conduzione familiare: senz’altro un modo intelligente per aiutare studenti e piccoli agricoltori, da una parte, e per frenare l’avanzata dell’impero agroalimentare industriale, dall’altra.
Presentato al Terra di Tutti Film Festival 2020 di Bologna, nella sessione “La filiera nel piatto”, Food For Change è l’ideale prosecuzione di un discorso iniziato tre anni prima da Benoît Bringer col pluripremiato docufilm The Carnivore’s Dilemma, viaggio-indagine tra U.S.A., Svezia e Germania sui peggiori sistemi di allevamento intensivo e sui modelli alternativi positivi.
Il regista-giornalista investigativo francese, già vincitore del Premio Pulitzer 2017 per aver contribuito all’indagine dell’ICIJ (Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi) sui Panama Papers, realizza, con questa sua nuova opera, un’inchiesta ricca e intrigante su alcune delle sfide più importanti della nostra epoca, partendo da un luogo apparentemente innocuo e godereccio come il tavolo da pranzo, qui straniante campo di battaglia.
E se questa, molto probabilmente, rappresenta una buona notizia per i più pigri, chiamati alla rivoluzione armandosi di soli cucchiai e forchette, non v’è dubbio che la stessa costituisca una risposta intelligente e a portata di mano alle problematiche ecologiche globali; un invito alla presa di coscienza e all’auto-responsabilità. Perché se davvero si chiede un cambiamento, questo non può che partire da noi stessi, dalle nostre piccole abitudini quotidiane.
E dunque, non ci resta che indossare il tovagliolo sotto il mento (non sia mai che si macchi la camicia appena lavata!), brandire il piatto e guidare la rivolta…hasta la victoria siempre.
Il dio del cotechino capirà…