Frida Kahlo recensione documentario di Ali Ray con Díana Bermudez prodotto da Phil Grabsky
Quello che abbiamo appreso sulla pittrice di Coyoacán, nel corso degli anni, abbiamo avuto modo di leggerlo nei libri di storia al liceo, su Internet o sui social in cui la sua effige viene continuamente proposta come simbolo di emancipazione femminile e, in particolare, di ribellione. Sul personaggio di Frida Kahlo si è parlato tantissimo nel corso degli ultimi anni, impossibile non esserne venuti a conoscenza, anche per sentito dire.
Sviscerata, analizzata e largamente discussa, la sua arte è ancora al centro di numerosi dibattiti, così come la sua vita, già trasposta in passato al cinema e che oggi ritorna sul grande schermo in occasione di un piccolo “omaggio” ad una delle donne più rappresentative del ventunesimo secolo.
L’ultimo documentario prodotto sulla vita e il percorso artistico della pittrice messicana e diretto da Ali Ray, è un racconto di nascita, rinascita e morte: dal 6 luglio 1907, data del concepimento di Frida, passando attraverso i suoi traumi e le opere che ne seguirono sino alla morte, il 13 luglio del 1954. Tutto il film ripercorre gli eventi più importanti e tragici della pittrice tramite le sue opere più importanti e significative. Sin dal 1925, anno in cui subì un terribile incidente all’uscita da scuola che segnerà inevitabilmente la sua intera esistenza, Frida costretta a letto riesce a sopravvivere alla convalescenza grazie alla pittura, realizzando i primi autoritratti della sua carriera. Già da quelle prime pennellate traspare un certo stile e, allo stesso tempo, una personale visione artistica che farà molto discutere negli anni successivi.
La tensione artistica di Frida Kahlo si muove attraverso le sue scelte politiche e, in particolare, affettive: l’adesione al Partito Comunista Messicano da una parte e, dall’altra, la travagliata relazione col pittore Diego Rivera. Se il suo avvicinamento ad un pensiero di sinistra si assimilerà parallelamente ad un avvicinamento alla cultura e alle tradizioni del popolo messicano da parte di Frida, il suo amore per Rivera sarà causa di enormi dolori per la donna nel corso degli anni, tra vari tradimenti e continue separazioni.
Tutto ciò viene fuori attraverso alcune delle opere più importanti e significative della pittrice: Ritratto di Luther Burbank (1931), Frida e L’aborto (1936) e Ciò che ho visto nell’acqua è ciò che l’acqua mi ha dato (1938) sono solo alcuni esempi di un’arte in bilico tra il dolore e il sentimento di famiglia, tra l’esigenza di raccontare un dramma personale e la nostalgia verso la terra natia. Sentimenti e pulsioni che molti riterranno a suo tempo “surrealiste” da parte di Frida Kahlo, a cui però lei si è sempre dissociata, ritenendo le sue creazioni profondamente ispirate alla realtà che la circonda, oltre al suo perenne turbamento fisico e, soprattutto, emotivo.
Il filo narrativo messo in pratica da Ali Ray, per raccontare la vita di una delle figure più emblematiche e discusse degli ultimi anni, fornisce allo spettatore la giusta chiave di lettura per interpretare il personaggio di Frida, per chi non ne conosce la storia e le opere più importanti. D’altro canto, chi ha già una profonda conoscenza del percorso artistico della pittrice di Coyoacán probabilmente avrà poco o nulla di nuovo da scoprire. Un film adatto ai neofiti che di questo personaggio ne conoscono soprattutto il mito.