Furiosa: A Mad Max Saga recensione film di George Miller con Anya Taylor-Joy, Chris Hemsworth, Yahya Abdul-Mateen II, Nathan Jones, Lachy Hulme, Tom Burke, Angus Sampson e Charlee Fraser
Furiosa: il cantore George Miller non sbaglia un colpo
Furiosa è un personaggio miracoloso per come funziona, per la sua capacità di parlare al pubblico ed entrare nell’immaginario collettivo. Funziona perché in Mad Max: Fury Road era tratteggiato con poche pennellate, a colori primari, con tratti grossi, che lasciavano intuire i dettagli ma ne rendevano impossibile la lettura. Volevamo saperne di più su di lei, ma eravamo rapiti dal mistero che la circondava.
Dare un passato a Furiosa, sulla carta, era una pessima idea, perché un personaggio di questo tipo vive e muore del mistero inesplorato che è il suo passato. Per fortuna quando si tratta di sua figlia Furiosa, George Miller sembra avere un’inesauribile vena creativa, ma anche tutti gli istinti giusti. Furiosa: A Mad Max Saga è davvero un ottimo film e un grande prequel di Fury Road, che riesce nell’impresa difficilissima di rendere persino migliore quanto visto nove anni fa in quel film, in retrospettiva.
Nel raccontare il passato della protagonista, George Miller non fa errori
Il merito è in gran parte di George Miller, che costruisce per la sua eroina vendicatrice un passato che si guarda bene dal svelare le parti più importanti del mistero (chi ha cresciuto la piccola Furiosa, come, con che ideali), concentrandosi sul colmare le lacune che ci aspettiamo. Seguiamo la protagonista quando da bambina viene trascinata via dalla comunità in cui vive e la seguiamo per un’adolescenza formativa popolata di pericoli, pessimi padri e cattivi maestri.
Nel raccontarci il suo passato Miller riesce a trasformare ogni tappa obbligata in un momento della narrazione organico al resto della storia, a evitare l’enfasi e a fare scelte non banali. Sappiamo per esempio che Furiosa dovrà perdere un braccio, sappiamo che si raserà i capelli e che si pitturerà la fronte con il grasso nero dei motori. Quando però scopriamo cosa succede davvero e perché succede, non c’è enfasi nel modo in cui il film rivela le sue carte. Quello intessuto da Miller rimane sempre un fluidissimo racconto capace di molte svolte sorprendenti.
La più spiazzante è che esaurisce la trama vera e propria nella prima metà della pellicola. Esattamente come Fury Road, finita la benzina narrativa Furiosa continua a correre usando gli elementi base del cinema: movimento, composizione dell’inquadratura, colori. Esattamente come il suo predecessore, nella seconda parte il film continua a muoversi on the road, facendo avanti e indietro per i tre avamposti della terre desolate, riducendosi a puro movimento, battaglia, con lunghissime, intricate, spettacolari sequenze action.
È palpabile come il regista australiano over 70 sia uno di quei grandi maestri cresciuti divorando il cinema su grande schermo. Centinaia di ore spese in sala che gli hanno donato una sensibilità strepitosa per il movimento e i colori, una facilità d’utilizzo della grammatica visiva del cinema, tralasciando la parola, il dialogo. Quello che dovrebbe essere un secondo tempo slabbrato e noioso, in cui “non succede niente”, nelle sue mani diventa esaltante.
Furiosa è il degno erede dell’epica classica
Furiosa ha il respiro dell’epica e parecchi rimandi biblici. Questa storia si conferma una narrazione classica con moltissimi topoi del genere, il tipo di racconto che gli aedi, i menestrelli e i cantori hanno narrato in ogni civiltà, per secoli. La storia di Furiosa profuma di leggenda, sa di narrazione orale. Il film è punteggiato anche di topoi cinematografici, da Akira Kurosawa a George Miller stesso, in una fitta rete di rimandi che faranno la gioia degli amanti del genere.
Furiosa è anche il tipo di film che si può godere sia seguendo il rush adrenalinico delle scene d’azione, sia gustando la squisita fattua cinematografica di questa storia. Anche la scelta degli intepreti si rivela azzeccata, così come fu per il primo capitolo. Gli occhi enormi di Anya Taylor-Joy dicono tutto ciò che i suoi scarni dialoghi tacciono, ma la vera sorpresa è un Chris Hemsworth a cui viene finalmente affidato un ruolo complesso e che riesce a gestire meravigliosamente la scala di grigi (e i momenti neri) del suo Dementus, una sorta di padre adottivo di Furiosa.
Furiosa non è il film epocale che fu Fury Road, non è quel tipo di pellicola che ti fa pensare mentre sei in sala “sto vedendo qualcosa che entrerà nella storia del cinema”. Non vuole esserlo. È il primo capitolo della saga di Mad Max che non riscrivere lo stile, i toni, l’ambientazione di quest’epica motorizzata on the road.
È piuttosto una deviazione dalle strade di Fury Road, ne riprende ambientazione e toni. Per questo non è dirompente. Non significa però che non sia un grande film. Il più bel complimento che gli si possa fare è che non solo non sfigura al fianco del predecessore, ma maneggia così bene i punti di raccordo con il film successivo, a cui è intimamente legato (basta vedere i titoli di coda), che finisce per migliorare, in retrospettiva, quanto visto 9 anni fa. Migliorare un film già strepitoso è un grande traguardo: complimenti a Miller.