Generazione 56K recensione serie TV Netflix di Francesco Ebbasta con Angelo Spagnoletti, Cristina Cappelli, Fabio Balsamo, Gianluca Fru, Biagio Forestieri, Claudia Tranchese e Federica Pirone
Generazione 56K è una serie prodotta da Cattleya in collaborazione con The Jackal e distribuita in streaming su Netflix. Ideata da Francesco Ebbasta, che la dirige insieme ad Alessio Maria Federici, con la sceneggiatura di Costanza Durante, Laura Grimaldi e Davide Orsini, vanta un cast variegato: dagli esilaranti Gianluca Fru (che abbiamo visto in LoL- chi ride è fuori) e Fabio Balsamo fino ad arrivare ai protagonisti giovani (Alfredo Cerone, Azzurra Iacone, Gennaro Filippone, Egidio Mercurio) e poi adulti (Angelo Spagnoletti, Cristina Cappelli) che rendono magnificamente vintage una serie moderna e coinvolgente.
Generazione 56K segue su un doppio binario l’incontro (casuale) di due compagni di scuola, Daniel (Angelo Spagnoletti) e Matilda (Cristina Cappelli) nella Napoli del 2021 e le loro vicissitudini nella natìa Procida del 1998. Insieme a loro un gruppo di amici che non fanno da sfondo ma che, in passato come nel presente, sono la vera famiglia in cui si sono sempre riconosciuti e rifugiati.
Tra app di incontri e VHS
“È questo che racconteremo ai nostri nipoti? Ho conosciuto tuo zio su un’app“, si dicono l’un l’altro i protagonisti mentre cercano smaniosamente la compagna di vita attraverso la rete. Grazie ai vari flashback attraversiamo con leggerezza e con qualche rimpianto lo scarto generazionale che usa le tecnologie come espediente per allontanare gli altri. E così rivediamo vecchie cassette VHS e prime linee internet con cui era certamente più arduo di oggi collegarsi col mondo attraverso un monitor e che generano una serie di incontri, progetti e inconvenienti esilaranti e imbarazzanti.
A tutto questo fa da sfondo una Procida diversa, viva e reale: non ritroviamo un prodotto confezionato o da cartolina, ma un’isola con vicini di casa, pescatori, restauratori, un cosmo fatto di un presepe vivente e non scontato. Le immagini e i loro colori sono fedeli ai veri bagliori che l’ambiente ha conservato nel tempo: mentre gli anni passano e attraversano persone, luoghi, abitazioni, l’unica cosa che rimane immutata è l’isola con i suoi ritmi, i suoi odori e le sue dinamiche che li faranno sentire tutti sempre un po’ a casa.
L’ottima recitazione unita alla sceneggiatura rende tutto molto fresco e immediato: i continui flashback non allentano il ritmo e non impegnano, piuttosto, sembrano un naturale dispiegamento di una trama che affonda le sue radici nel passato ma si collega al presente. Questo è realizzato attraverso simboli e immagini che diventano il filo rosso tra il 2021 e il 1998: i tarli nel legno che non fanno dormire Matilda e che lei non riesce a eliminare del tutto persistono come il sentimento che ha sempre avuto fin da piccola per Daniel, e che, ora, riaffiora come se non fosse passato un giorno da quel 1998 in cui l’impresa più ardua era trovare i biglietti per il concerto degli 883.
Generazione 56K ha un sapore leggermente nostalgico, ma propositivo e ottimista: il nostro tempo scandito dalla tecnologia, nonostante le lamentele di molti – Matilda è una di quelle che vede i vocali dell’amica Inès (Claudia Tranchese) come audio libri – ma questo non può e non deve sostituire quei valori e quei legami che sono indissolubili ed eterni. Cambiano i supporti dei nostri ricordi: dal vecchi floppy disk si passa alle attuali chiavette USB ma, come in una perfetta addizione, invertendo i fattori il risultato non cambia. E, quindi, i ricordi e quelle tracce rimarranno sempre e, forse, riempiranno il vuoto in attesa di un nuovo incontro e un nuovo inaspettato inizio.