Generazione Low Cost recensione film di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre con Adèle Exarchopoulos, Jonathon Sawdon e Mara Taquin
Cassandre (Adèle Exarchopoulos) è una giovane assistente di volo per una compagnia aerea low cost. Il suo lavoro la porta a spostarsi continuamente da una destinazione all’altra senza possibilità di fermarsi. Per ogni tratta la compagnia le fornisce un appartamento che condivide con colleghe e colleghi, con cui però sembra incapace di legare. Spostandosi spesso, vede tanti posti nuovi ma solo per brevi momenti; passa le serate in discoteca e frequenta ragazzi conosciuti su app di incontri. Gli opprimenti ritmi della compagnia non lasciano spazio per i legami né per programmare il futuro. Ogni volo deve essere perfetto nei minimi dettagli, dalla vendita di snack e accessori all’interazione con ogni tipo di passeggero, e questa è l’unica cosa che conta.
Quando il suo contratto sta per scadere, Cassandre torna a casa dal padre e la sorella e lo spettatore scopre che ha subito un lutto. Il ritorno a casa la mette di fronte al suo passato ma anche davanti alla possibilità di una vita diversa. Un’occasione per riflettere su cosa e chi vuole diventare.
Generazione Low Cost (Rien à foutre in originale) è il nuovo film di Emmanuel Marre e Julie Lecoustre. Già selezionato alla Semaine de la Critique del 74° Festival di Cannes, si tratta del primo lungometraggio confezionato dai due registi – qui anche sceneggiatori – dopo il mediometraggio D’un château l’autre. Il film dura poco meno di due ore e si può dividere in due parti. Nella prima, Marre e Lecoustre mettono in scena una delle più belle e fedeli rappresentazioni di una generazione: quella dei giovani quasi trentenni in cerca di un lavoro che, nell’affannosa ricerca di una posizione nel mondo, sono disposti ad accettare contratti precari e condizioni di lavoro assurde.
In questo senso, la scelta della compagnia low cost è oltremodo azzeccata. Nessun legame, nessuna possibilità di programmare a lungo termine ma massima disponibilità e flessibilità. Una policy lavorativa che è lo specchio di una condizione largamente diffusa. Quando gli assistenti di volo vengono formati, viene loro richiesto di annullarsi. Niente passato, niente problemi personali e niente futuro, esiste solo il presente e la soddisfazione del cliente. L’apparenza e l’aspetto fisico sono fondamentali: un rassicurante sorriso fa parte dell’uniforme di lavoro. Il rischio che si corre, naturalmente, è quello di perdersi e Cassandre infatti rischia di sparire, piccolo ingranaggio di una macchina ben oliata. Tutto questo è messo in scena in modo molto accurato dai registi: il film è girato quasi come se fosse un documentario, con abbondanza di primi piani e un’attenzione particolare al racconto del settore lavorativo.
Nella seconda parte, invece, si assiste a una svolta narrativa. “Pensavate che fosse solo un bel ritratto di una generazione? E invece è un film sull’elaborazione di un lutto” sembrano dire Marre e Lecoustre. Questo è un modo molto intelligente di fare cinema, che solo i grandi del mestiere sanno fare. L’ultima mezz’ora della pellicola è più dilatata e pacata. La macchina da presa viene improvvisamente filtrata da colori più caldi, quasi a voler abbracciare la protagonista, una fantastica Adèle Exarchopoulos. La sua recitazione e caratterizzazione è quasi tutta non verbale: in una boccata di sigaretta o nel sistemarsi una ciocca di capelli c’è più scrittura di quanta se ne sarebbe potuta inserire con dei dialoghi.
Molto belli e curati sono anche i costumi e le ambientazioni.
Marre e Lecoustre dimostrano una piena padronanza della loro storia sotto tutti i punti di vista, probabilmente perché – banalmente – la conoscono. Sono parte della generazione che raccontano (forse di quella immediatamente precedente, che però segue pressoché le stesse regole) e sanno come raccontarla.
Generazione Low Cost è un film sulla solitudine, sul senso di smarrimento e sul dolore. È un ritratto amaro ma perfetto di una generazione e di una certa parte – ampia, purtroppo – del mondo del lavoro. Ma è anche un film che comunica speranza, perché una via d’uscita è possibile e passa inevitabilmente per l’accettazione della realtà.