Genitori vs Influencer recensione film di Michela Andreozzi con Fabio Volo, Ginevra Francesconi, Giulia De Lellis, Nino Frassica e Paola Minaccioni
Da “nessun uomo è un’isola” a “ogni uomo è un brand”: si riassume così l’apocalittica morale del terzo film da regista di Michela Andreozzi. Che fin da quando è passata dietro la macchina da presa ha cercato di guardarsi intorno e fissare su pellicola i malumori e le nervature scoperte di una realtà sempre più fluida e sempre più difficile da capire e ancor più da interpretare: è stato così con Nove lune e mezza e Brave ragazze, veloci a mettere il dito nella piaga su maternità ed essere donna oggi (come ieri).
Dopo la madre, ora è il turno del padre.
Genitori vs Influencer affina il tiro: porta avanti i focus dei film precedenti ma li somma, anzi li innesta in un discorso più ampio, utilizzando la tematica social per darsi uno sguardo intorno e rendersi conto la situazione non è delle migliori.
Genitori vs Influencer sembra essere puntellato da frasi-simbolo: “Il modello di questo cellulare costa più di un mio stipendio… ma lo capisci che è tutto sbagliato?”, “Il cineforum?? Ma chi ce va più al cinema? Il cinema è morto, Paolo!”, e ancora “Simone non è un nome da donna ma da uomo… Io conosco solo Simone Inzaghi. Ed è pure da’ a Lazio”.
La cosa più interessante del film è comunque il cortocircuito sottocutaneo della trama: che parte presentando un paladino della cultura come un professore di filosofia (Fabio Volo) contrapposto ad una influencer che “vende fuffa” (Giulia De Lellis), mostrandone il percorso che lo porta a vendersi, a fin di bene e per necessità, e a farsi lentamente e progressivamente assimilare dallo stesso mondo che prima ripudiava.
Come un serpente che si morde la coda, come un nastro di Moebius che si riavvolge su se stesso, Genitori vs Influencer mostra il circolo infinito di una società che si autofagocita e oggi misura il valore di un uomo in base ai follower.
Certo, non è un film prefetto: un po’ compiaciuto di se stesso, un po’ furbetto e troppo adagiato sui suoi motti: ma di buono c’è però una bella intuizione iniziale ben sviluppata ma soprattutto l’intelligenza della Andreozzi di scegliere i suoi due protagonisti trovando la loro vera dimensione e costruendogli intorno i personaggi. Prendendosi addosso i rischi -che sono qualche faciloneria di troppo lungo la trama – e i pregi, ovvero una sincerità di interpretazione che viene facilitata da un cast di contorno eccellente, da Nino Frassica a Paola Minaccioni, da Massimiliano Bruno fino a Paola Tiziana Cruciani – irresistibile la festa di fretta in cortile.
E alla fine, anche se probabilmente il film risente sul finale di una struttura “a tema”, resta molto interessante come la regista sa vestire i risvolti conformisti della trama con pensieri rubati a Zygmunt Bauman, riflettendo in maniera non banale sulla società liquida, sul ciclo infinito, sulla difficoltà di essere genitori ma soprattutto di far combaciare passato e presente.
Genitori vs Influencer è insomma la disfatta etica del nostro tempo, mascherata da sorrisi ed happy end: “è così che muore la democrazia, sotto scroscianti applausi”, diceva qualcuno.
È così che muore la libertà di pensiero: sommersa da un post di troppo.