Girl recensione film di Lukas Dhont con Victor Polster, Arieh Worthalter, Oliver Bodart, Tijmen Govaerts, Katelijne Damen e Valentijn Dhaenens
Girl, migliore opera prima al Festival di Cannes 2018 del giovane emergente Lukas Dhont, è un film che conquista dalla prima inquadratura.
Ispirata ad una storia vera, questa perla cinematografica belga è un vero e proprio inno alla bellezza, ma anche alla sofferenza gridata dal silenzio dell’esile ed elegantissima protagonista Lara, una ragazza adolescente transgender.
Interpretata in maniera quasi simbiotica da Victor Polster, ballerino e altrettanto talentuoso attore esordiente con questo film, Lara è un’adolescente che combatte disperatamente con il suo corpo, rifiutandolo in un modo talmente radicale da provocarsi un autolesionismo estremo. A soli 15 anni decide che quello che ha non è il suo corpo e come una vera guerriera non vuole perdere tempo per raggiungere il suo obiettivo. Un ruolo fondamentale nella sua scelta lo svolge il suo comprensivo papà, un eccellente Arieh Worthalter, perfetto nel ruolo di giovane padre pronto a tutto per rendere felice sua figlia.
Entrambe le recitazioni, magicamente, riescono a trasmettere la sensibilità e l’educazione dei loro personaggi. Victor attraverso la sua disperata voglia di cambiare e Mathias con la sua paterna voglia di proteggere. Quello che colpisce è soprattutto l’intensità delle loro emozioni, a volte in contrasto ma che riescono a fondersi sempre in un’unica forza empatica. Un rapporto caratterizzato da una comprensione così giusta e corretta che commuove, facendo sperare e sognare.
Promettente ballerina con una determinazione e serietà che di solito non si hanno alla sua età, Lara vuole sentirsi una donna fino in fondo. Con la stessa volontà affronta sia la fase più delicata del suo processo di cambiamento fisico e ormonale, sia la sua nuova esperienza con la rigida scuola di ballo per la quale è disposta a tutto pur di farne parte. É quasi percepibile il suo duplice dolore, che prova contemporaneamente quando si allena fino allo sfinimento e quando si guarda nello specchio della sua camera.
La sua sofferenza preferisce però non mostrarla. Lara non si piega mai, né di fronte alla severa maestra né tantomeno davanti alle sue compagne di ballo. Lara non si arrende mai, né dopo gli estenuanti allenamenti né a seguito degli effetti delle medicine, che inevitabilmente indeboliscono il suo corpo. Lara accetta in silenzio il dolore provocato delle strette scarpette di ballo e leggiadra e imperterrita continua a ballare, non curante dell’inevitabile crollo fisico. Non mostra alcuna sofferenza nemmeno quando si applica il nastro adesivo per nascondere i genitali, anzi per lei sembra quasi essere un rito punitivo per quell’ultima parte di virilità rimasta. È pronta a tutto per essere una ballerina perfetta. È disposta a tutto per diventare una donna.
Straziante quanto bella, sincera quanto spiazzante, la pellicola belga, accolta dalla critica cinematografica con grande soddisfazione, riesce a togliere il fiato fino all’ultimo. Nulla è lasciato al caso. I lunghi primi piani dei silenti protagonisti, le loro lacrime, la sofferenza nascosta e raccontata con delicatezza, le scene di danza con le infinite piroette attraverso le quali Lukas Dhont riesce quasi riproporre un senso di vertigine, la musica classica che accompagna una fotografia la quale ricorda i quadri rinascimentali di Raffaello e Botticelli per il suo uso particolare della diffusione della luce.
Quando non si vuole che un film finisca perché si sente che passerà del tempo prima di incontrare un’opera altrettanto bella, significa che il regista ha fatto decisamente bene il suo lavoro.
Arianna