Gloria Mundi recensione del film di Robert Guédiguian con Ariane Ascaride, Gérard Meylan, Anaïs Demoustier, Jean-Pierre Darroussin e Lola Naymark
A due anni da La casa sul mare, Robert Guédiguian torna in Concorso a Venezia con Gloria Mundi e abbandona le atmosfere di Méjan per rituffarsi a Marsiglia. Al centro della vicenda, ancora una volta, la famiglia. Il regista francese ama girare con gli stessi attori da anni e questo rende i suoi lavori ancora più autentici, capaci di raccontare come pochi altri la realtà che ci circonda.
Il motore dell’azione è, in questo caso, il ritorno a casa di Daniel (Gérard Meylan) che, appena uscito di prigione, scopre di essere nonno e raggiunge la sua ex moglie, che si è risposata, per trovare una famiglia oppressa da forti problemi economici.
Le dinamiche all’interno del nucleo (allargato) sono quanto mai intricate e Guédiguian non si risparmia nel fornire un ritratto delle due generazioni in scena al limite del pessimistico. Messa (quasi) da parte la crisi politica e ideologica, il regista francese si sofferma in Gloria Mundi sul disfacimento economico, sulle difficoltà che si incontrano tutti i giorni quando si deve arrivare a fine mese.
La mancanza di una forte ideologia è l’humus per il trionfo del denaro, della ricerca a tutti i costi di un guadagno facile, del fallimento di tutti quei valori per i quali la generazione del ’68 aveva strenuamente lottato. È un film tremendamente attuale quello di Guédiguian, proprio perché parte dal passato e dalla descrizione della sconfitta dei nostri “padri” per raccontare come sono diventati i giovani di oggi e quale futuro li attende.
Nessuno viene risparmiato, a tratti c’è empatia ma tra le pieghe del racconto si nasconde un nichilismo che ha molto a che vedere con le derive populiste alle quali stiamo assistendo in tutto il mondo. E così, paradossalmente, l’eroe romantico diventa Daniel, un uomo che ha commesso una sciocchezza, che ha meritatamente pagato, che è rimasto fuori dal mondo e proprio per questo non ne è rimasto corrotto. Non c’è tuttavia nostalgia nel racconto della sua parabola, c’è una semplice presa di coscienza di come sono andate e di come stanno andando le cose.
Guédiguian si conferma ancora una volta un regista con una profondità non comune, un cantore di storie tanto malinconiche quanto necessarie.
Sergio