Goldstone – Dove i mondi si scontrano recensione film di Ivan Sen con Aaron Pedersen, Alex Russell, David Wenham, Jacki Weaver e Michelle Lim Davidson
Goldstone – Dove i mondi si scontrano è un lungometraggio di Ivan Sen, che si occupa del film a trecentosessanta gradi curando: regia, fotografia, sceneggiatura, montaggio e musica. Due anni dopo Mystery Road, Sen torna a raccontare del detective aborigeno Jay Shaw (Aaron Pedersen).
Nel deserto australiano la città più arida è Goldstone, sfruttata dagli uomini bianchi per le sue miniere d’oro e luogo privilegiato per lo sfruttamento di donne per la prostituzione.
Jay viene convocato a Goldstone per investigare sulla scomparsa di una ragazza asiatica avvenuta mesi prima. Qui incontrerà subito Josh Waters (Alex Russell), poliziotto bianco della cittadina; fra i due non c’è una simpatia reciproca eppure riusciranno a collaborare e a scovare un traffico di prostitute asiatiche.
Goldstone ha la particolarità di fondere al suo interno diversi generi, e di ognuno non ne prende i cliché, anzi li abolisce. Un noir, un thriller, un poliziesco e un western 2.0 ma senza rocambolesche scene di sparatorie, senza cadaveri e senza sproloqui.
La pellicola di Ivan Sen anzi, procede molto lentamente, anche troppo. Il motivo è quello di potersi soffermare sull’incredibile location che fornisce al film la sua vera personalità. Goldstone è l’arido deserto, le rocce rossastre, l’assenza di case e di civiltà. L’ambientazione perfetta per uno stile di vita puro e semplice, dedito alla contemplazione dei paesaggi e al culto della povertà. Invece, nonostante ciò, l’uomo bianco riesce sempre a eclissare la natura e sfruttare la terra per far valere i propri interessi economici.
Ivan Sen, anch’egli di origini aborigene, mette in Goldstone diversi temi molto profondi come lo sfruttamento della terra e delle persone deboli ma anche quello razziale, lasciando in secondo piano l’azione. Ciò che sicuramente colpisce nell’opera è la fotografia: la luce naturale fa risaltare i colori dell’ambientazione e i campi lunghi permettono allo spettatore di cogliere l’immensità del luogo in confronto alla piccolezza dell’essere umano.