Guerra e Rivolta recensione film di Kim Sang-man con Gang Dong-won, Park Jeong-min e Cha Seung-won [Netflix]
Alla fine del Sedicesimo secolo, in Corea, queste parole accesero una ribellione di schiavi che venne soffocata nel sangue dal crudele Re Seonjo (Cha Seung-won). Quando un’invasione giapponese minaccia il regno, però, saranno proprio gli schiavi guidati da Cheon-young (Gang Dong-won) a giocare un ruolo fondamentale nella sua difesa, chiedendo in cambio la libertà. Il tiranno però incarica Jong-ryeo (Park Jung-min), padrone e amico di Cheon-young, di fermare la rivolta.
È dal trionfo di Parasite agli Oscar e dal successo planetario di Squid Game che compagnie come Netflix cercano di trovare il nuovo fenomeno coreano capace di catturare il pubblico mondiale. È improbabile che Guerra e Rivolta abbia l’impatto dei suoi illustri predecessori, ma ciò non toglie che sia uno dei film storici più interessanti degli ultimi anni.
Il motivo sta nell’approccio di Kim Sang-man alla materia affrontata. Invece delle tendenze dei film storici occidentali, orientati all’autocritica, all’abbattimento dei propri miti e al realismo, il regista ha scelto piuttosto la cifra dell’eroismo e dell’epica, raccontando quindi una storia dove Bene e Male sono nettamente definiti.
Cheon-young guida una brigata di schiavi chiamata “l’esercito dei giusti” e il generale giapponese Genshin (Jung Sung-il), contro cui combatte valorosamente, è freddo, spietato e soprannominato ‘Rubanasi’, il Demone del Goblin. Re Seonjo invece è un inetto analfabeta che condanna a morte chiunque lo contraddica: una divisione così netta degli schieramenti non si vedeva dai tempi di Braveheart e del Gladiatore, kolossal da cui Guerra e Rivolta ha sicuramente preso esempio.
È una scelta che rischia di sembrare semplicistica e forse anche retorica, ma è anche la scelta giusta per quei film che cercano di ispirare la tensione verso ideali e valori più alti nell’animo dello spettatore. È proprio il coraggio di non temere di essere sentimentali o retorici che permette a film di questo genere di centrare alla perfezione le corde emotive di quell’eroismo che è proprio dell’epica: ogni battaglia, ogni scontro dialettico, ogni discorso rende il pubblico parte della lotta di Cheon-young, facendolo sentire parte di qualcosa di più grande.
C’è poi l’appassionante conflitto fra Cheon-young e Jong-ryeo, divisi dall’opposizione fra nobili e schiavi che avvelena la Corea e che li costringe a inseguirsi e scontrarsi nel corso degli anni. Attraverso le loro incomprensioni e i loro duelli, il loro rapporto porta alla luce le storture del sistema classista e la corruzione della dinastia Seonjo, pronta a massacri e tradimenti prima di riconoscere i diritti al suo stesso popolo.
Il pregio più grande di Guerra e Rivolta non è tanto essere un affresco storico della lotta fra classi in Corea o un ottimo film di guerra, l’attento studio del rapporto fra due personaggi antitetici o un buon film di arti marziali, ma di essere tutte queste cose insieme e in maniera armonica.
Pur dipanandosi nel corso di anni e pur avendo un gran numero di personaggi secondari la narrazione scorre con un ritmo perfettamente bilanciato. Le scene d’azione sono creative e ben orchestrate. E c’è anche spazio per momenti di ironia e leggerezza che bilanciano la violenza e la crudeltà che il cinema coreano non si è mai fatto scrupoli a mostrare. Già solo il lavoro di precisione chirurgica per bilanciare tutti questi elementi rende la visione consigliabile, ma c’è anche qualcosa di più. Come Breaveheart rese i cuori degli spettatori un po’ più scozzesi raccontando la lotta per la libertà di William Wallace, così quasi trent’anni dopo Guerra e Rivolta ricorda che le lotte in nome di ideali e valori più alti di noi valgono la pena di essere combattute.