Halston recensione miniserie Netflix scritta e prodotta da Ryan Murphy e diretta da Daniel Minahan con Ewan McGregor, Krysta Rodriguez e Rebecca Dayan
Sono solamente un sarto, questo è ciò che faccio.
(Ewan McGregor in Halston)
Se non siete appassionati di moda, probabilmente, la nuova serie Netflix, frutto dell’ultimo lavoro della Ryan Murphy Productions, non avrà risvegliato in voi l’immagine dell’eccentrico e fascinoso Roy Halston Frowick, lo stilista più famoso degli anni Settanta, i cui abiti hanno vestito alcune delle più iconiche celebrità di Hollywood, quali Cher, Pat Cleveland, Anjelica Huston, Diana Ross, Lauren Hutton, Bianca Jagger, Liza Minelli ed Elsa Peretti.
Creata dal drammaturgo di Broadway Sharr White, diretta da Daniel Minahan e prodotta da Ryan Murphy, che è al contempo sceneggiatore insieme a Ian Brennan, la miniserie Halston è una trasposizione di Simply Halston scritto da Steven Gaines nel 1991, libro che ripercorre la vita e la carriera di Roy Halston Frowick. Distribuita da Netflix, la serie, composta da cinque episodi, restituisce un’immagine molto lontana dal mito che lo stesso Halston aveva costituito per se stesso: la star glamour e maledetta, capace di cambiare modo di parlare e vestire per impersonare un ideale. Minahan crea, invece, un ritratto umano, raccontando le fragilità dell’uomo, che tra successi e fallimenti, ha rivoluzionato la moda femminile.
La vera storia di Roy Halston Frowick
Nato nel 1932 a Iowa, Roy Halston Frowick era il secondogenito di James Edward Frowick, ragioniere, e di Hallie Mae Holmes, casalinga. Ancora bambino sviluppa un grande interesse per il ricamo, insegnatori dalla nonna, iniziando successivamente a creare cappelli e modificare vestiti per la madre e la sorella. Nel 1942 la famiglia si trasferisce a Evansville (l’incipit della miniserie vede il piccolo Roy nella città dell’indiana nel 1938). Dopo aver frequentato per un breve periodo l’Università dell’Indiana, si iscrive alla School of the Art Institute di Chicago, iniziando una propria attività come modista, progettando e realizzando cappelli da donna. Nel 1958 diviene capo modista del grande magazzino Bergdorf Goodman di New York, ma la fama arriva nel 1961 quando Jacqueline Kennedy, durante l’insediamento del marito alla Casa Bianca, indossa il cappellino a tamburello progettato da Halston. La popolarità e la fama come stilista gli permise di aprire una boutique femminile, ma la consacrazione internazionale avviene nel 1973 con la Battaglia di Versailles a Parigi, dove stilisti francesi e americani si sfidarono.
L’ascesa di Halston sembra inarrestabile, la popolarità è seguita da uno strepitoso successo commerciale, l’epopea della disco porta lo stilista ad essere una delle celebrità più importanti del jet set dello Studio 54 a fianco di Andy Warhol e Liza Minelli. L’abuso di droghe e alcool, gli scatti di rabbia, le pessime decisioni commerciali portano Halston a perdere il controllo della sua casa di moda negli anni Ottanta. Nel 1981 inizia una collaborazione con JCPenney creando una linea d’abbigliamento economica per i grandi magazzini, un gesto che era considerato come un “reato” contro la moda, ma che oggi è diventato una pratica molto diffusa. Dal 1983 il marchio cambia più volte proprietario e l’anno successivo Halston viene estromesso dalla creazione del design. La produzione continuò così con vari designer fino al 1990, quando la società proprietaria, Revlon, decise di interrompere la linea di abbigliamento continuando a vendere unicamente i profumi. Allo stesso tempo, la vita privata di Halston peggiora, dopo la diagnosi di HIV e la successiva progressione dell’AIDS decide di lasciare New York e vivere il suo ultimo anno di vita sulla costa del pacifico, morendo nel 1990 al Pacific Presbyterian Medial Center di San Francisco per un sarcoma di Kaposi, all’età di soli cinquantasette anni.
Una parabola di ascese e discese
Non sei più Halston, loro lo sono.
(Halston)
La miniserie prodotta dal prolifico produttore americano Ryan Murphy si compone di cinque episodi dal ritmo didascalico e una struttura narrativa “vecchia”. Si tratta di un racconto ormai superato da nuove forme narrative capaci di raccontare i suoi protagonisti e protagoniste in modo più approfondito, attraverso strutture meno limitate che non si basano sull’opposizione dei personaggi. Daniel Minahan decide di muovere la sua opera all’interno di un sistema narrativo classico che non ci sorprende, ma che riesce egualmente ad ammagliarci.
Halston è una storia già vista, così come lo stile stesso del suo racconto: il dramma di un antieroe (Ewan McGregor) che dopo una ascesa sorprendente ricca di successi cade inevitabilmente e rovinosamente in una discesa personale ed economica per poi uscire di scena con un canto del cigno ammaliante. Il suo protagonista è un uomo eccentrico e tormentato quasi quanto talentuoso, che compie un arco narrativo autodistruttivo durante il quale il nostro sguardo è sempre ancorato al suo punto di vista. La novità di questa miniserie è, come evidenziato dal critico Attilio Palmieri, che queste narrazioni hanno sempre rappresentato figure esemplificative della virilità tradizionale. Halston prende questo modello e lo porta nel mondo della moda, del glamour e del queerness. Se la storia di Roy Halston è prevedibile sin dai primi minuti, anche se non conoscete gli eventi biografici, la magistrale interpretazione di Ewan McGregor e la sceneggiatura coinvolgente seppur didascalica riescono a conquistare gli spettatori, che se non conoscevano il genio artistico di Halston ora certo non lo dimenticheranno, anche grazie alle attrici che hanno riportato sullo schermo due delle sue muse più importanti: Elsa Peretti e Liza Minelli.
Iconica modella dei jet setter, stilista e una delle creatrice di gioielli più influenti del XX secolo Elsa Peretti, scomparsa all’inizio di quest’anno, è stata interpretata dall’attrice francese Rebecca Dayan, la quale ha vestito i panni di una delle figure femminili più affascinanti dello scorso secolo, restituendone il fascino così come il talento e l’intelligenza. In egual modo è stata sublime l’interpretazione di Krysta Rodriguez che, dopo aver interpretato la Signora Crumble nella sfortunata serie Netflix Daybreak (cancellata dopo solo una stagione), ha realizzato un ritratto della divina Liza Minelli nelle sue performance più celebri e la chimica con McGregor ha portato sullo schermo il racconto della loro grande e dolcissima amicizia.
Il racconto di un mondo ormai svanito
Le notti febbricitanti allo Studio 54, i viaggi in giro per il mondo, le sfilate, i vestiti più belli, le iconiche star che hanno segnato un decennio e la cui influenza è ancora oggi presente nel mondo dello spettacolo così come della moda: un mondo difficile da raccontare in solo cinque puntante. A rendere più facile “l’immersione” nel passato sono i costumi realizzati da Jeriana San Juan, così come le scenografie, impressionante la ricostruzione del famigerato Studio 54. Tuttavia, le sequenze girate in quest’ultima location sono quelle meno riuscite poiché hanno sofferto delle limitazioni dovute al COVID-19, così la discoteca più celebre di quegli anni appare ai nostri occhi quasi vuota per via delle poche comparse.
È una storia difficile da restituire, la frenesia degli anni Settanta e i suoi costanti cambiamenti, specialmente se sono sfondo di una vicenda biografica di un solo personaggio, anche se si tratta di una delle personalità più iconiche e influenti di quel decennio.
Troppo romanzata per i famigliari di Halston, che non hanno apprezzato l’opera, e troppo fredda per molti critici che hanno evidenziato come questa miniserie non costituisca nulla di innovativo nel panorama multimediale. L’ultima fatica di Ryan Murphy e dei sui fidati collaboratori si conferma, nonostante tutto, un’opera di piacevole intrattenimento per ricordare, o conoscere, una storia biografica incredibile su un uomo, un artista che ha plasmato il nostro modo di vestire e amare la moda.