Hammamet recensione del film di Gianni Amelio con Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Luca Filippi, Renato Carpentieri, Claudia Gerini e Silvia Cohen
Un sorprendente Pierfrancesco Favino veste i panni di Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano prima di cadere in disgrazia a seguito dell’inchiesta Tangentopoli, nel nuovo film di Gianni Amelio, Hammamet. Frutto di una collaborazione fra RAI Cinema e Pepito Produzioni, Hammamet prende il titolo dal nome della città in cui si trovava la villa in Tunisia in cui Craxi si rifugiò negli ultimi anni della sua vita, rifiutandosi risolutamente di tornare in Italia dove avrebbe rischiato il carcere. Piuttosto che soffermarsi sul momento dello scandalo, culminato con il lancio delle monetine al Raphael, o al contrario sul momento del maggior successo di Craxi come statista, il braccio di ferro con gli USA a Sigonella, Amelio e il suo co-sceneggiatore Alberto Taraglio, dopo un incipit che mostra un comizio del PSI all’apice del potere, si sono soffermati sulla sua graduale agonia e sul rapporto con la figlia.
Nel tratteggiare il rapporto con la figlia di Craxi, interpretata da Livia Rossi, Amelio si è dichiaratamente ispirato ai modelli classici del rapporto fra Elettra e Agamennone, fra Cassandra e Priamo e fra Cordelia e Re Lear. Amelio ha scelto di non far mai pronunciare né il nome di Craxi “perché è talmente evidente che stiamo parlando di lui che non serve nominarlo”, né quello di altri personaggi storici o fittizi come il figlio, la moglie, la sua amante “storica” interpretata da Claudia Gerini o il democristiano ritirato di Renato Carpentieri; gli unici personaggi che hanno un nome sono appunto la figlia del “Presidente”, chiamata nel film Anita anche se nella realtà si chiama Stefania Craxi, Vincenzo (Giuseppe Cederna), l’unico politico socialista che cerca di avvisare Craxi dell’imminente inchiesta e che si suiciderà dopo lo scoppio dello scandalo, e Francesco (Luca Filippi), il figlio psicotico di Vincenzo che dopo la morte del padre si reca ad Hammamet con una pistola per interloquire, e forse anche per sparare, a Craxi.
Il film è ambientato e girato in buona parte in Tunisia, dove la famiglia Craxi ha concesso l’utilizzo della vera villa di Hammamet. Pur non volendo indugiare in banalità non si può mancare di sottolineare il risultato eccezionale raggiunto dal truccatore Andrea Leanza, che con il suo team ha applicato su Favino un make-up prostetico credibilissimo, dello stesso tipo di quello usato su Gary Oldman per L’ora più buia. Né si può mancare di sottolineare come, appena sei mesi dopo Il traditore, Pierfrancesco Favino ribadisce il suo strabiliante talento mimetico, che lo conferma come il miglior attore della sua generazione dopo Gifuni; il ruolo di Craxi non ha la stessa ampiezza emotiva di Tommaso Buscetta – il suo carattere resta pressocché immutato dall’inizio alla fine – ma Favino ha saputo calibrare alla perfezione ogni gesto, ogni parola, ogni smorfia. “Senza Favino questo film non l’avrei potuto fare”, ha commentato Gianni Amelio durante la conferenza stampa.
Nonostante il grande impegno di Favino e la derivazione per così dire classica del suo personaggio e di quello della figlia ad Hammamet manca quel qualcosa di profondamente “tragico” – nel senso etimologico del termine – che lo faccia assorgere a un vero e proprio capolavoro. Hammamet presenta una narrazione che procede essenzialmente per giustapposizione, mai per lineare e implacabile concatenazione di eventi o al contrario per singoli episodi significativi come altri biopic del calibro di Steve Jobs di Danny Boyle o del capolavoro Mishima di Paul Schrader. Il personaggio del tutto fittizio di Francesco, a cui pure è dedicato spazio non marginale e che Amelio ha definito “appartenente all’anima thriller del racconto”, non è stata l’aggiunta romanzesca meglio riuscita del film.
La fotografia, curata dal figlio adottivo del regista Luan Amelio Ujkaj, sarebbe ottima per un prodotto televisivo, non è particolarmente incisiva per un film da grande schermo; anche il montaggio delle musiche di Nicola Piovani, che per l’occasione ha riarrangiato e spezzettato l’Internazionale, a volte è un po’ fastidioso ed eccessivamente presente durante i dialoghi fra i personaggi. Risulta spontaneo, per vari motivi, il paragone con Loro di Paolo Sorrentino: i film sono accomunati da un’indagine sul potere interessata al momento della decadenza, e dalla comune ambientazione “bucolica”, e nel film di Amelio Silvio Berlusconi compare brevemente in TV come se ambisse a prendere il potere che Craxi ha perso; nondimeno il film di Sorrentino risulta più riuscito, perché accanto all’approfondimento psicologico del suo protagonista e delle sue vicende private ha saputo ritrarre con maggiore efficacia il suo entourage, il suo magnetismo e il suo disfarsi.
Hammamet può però vantarsi di una sequenza particolarmente originale e inattesa: si trova quasi alla fine del film, e in essa fa un’ultima graditissima comparsa l’attore Omero Antonutti, scomparso lo scorso novembre, nel ruolo del padre di Craxi, prima che tutto svanisca in fumo e Berlusconi al potere prosegua una Seconda repubblica per molti versi ancora più contestata e scandalosa della prima.
Ludovico