Heavy Metal recensione film d’animazione per adulti scritto da Daniel Goldberg, Len Blum e Dan O’Bannon e diretto da Gerald Potterton
Facciamo un balzo indietro nel tempo di quasi cinquant’anni. Nel periodo tra anni Settanta e Ottanta in cui l’arte del fumetto si proscioglieva della sua identità di “intrattenimento usa e getta”, lanciandosi alla conquista di librerie con opere di ben altro spessore, la da sempre avanguardista Francia diveniva culla per Métal Hurlant. Questa particolarissima rivista per adulti era il paradiso per i più visionari artisti del settore, i quali potevano sperimentare le più coraggiose contaminazioni di fantascienza, horror e fantasy, senza farsi troppi problemi a pigiare l’acceleratore su sesso e violenza.
Il successo del magazine fu clamoroso, tale da giungere persino alle orecchie del “paese più democratico del mondo”, dove venne tradotto, ribattezzato Heavy Metal e impreziosito da interventi artistici di gente come Milo Manara e Moebius. Da qui al cinema il passo fu breve, e la trasposizione animata della rivista venne curata grazie al contributo economico di Ivan Reitman (Ghostbusters). Il risultato fu un esempio di lungometraggio antologico capace di ridefinire i canoni del cinema d’animazione dai contenuti forti, concepito per un pubblico adulto. Se oggigiorno possiamo godere della splendida serie tv di David Fincher (Se7en) Love, Death & Robots, lo dobbiamo proprio a questo gioiellino.
Heavy Metal: sinossi
Composto da nove episodi ambientati nelle più svariate epoche storiche, differenti per stile di disegno e registro narrativo, il film mette in scena la più classica lotta tra il bene e il male, sulle note di alcuni celebri pezzi di Black Sabbath o Blue Öyster Cult (d’altronde, musica rock e fantasy non sono sempre andati a nozze?) integrati alle orchestrazioni di Elmer Bernstein (I magnifici sette). Un astronauta a bordo di una lucente Corvette volante rinviene nello spazio una sfera di opaca luce verde e decide di portarlo in regalo alla giovane figlia sulla Terra. Si scopre che il manufatto è Loc-Nar, quintessenza delle forze del male che dimorano nell’universo, bramata da tutti gli esseri viventi per il suo infinito potere ma portatrice esclusivamente di morte e distruzione.
Dopo aver liquefatto l’astronauta, Loc-Nar costringe la ragazza a rivivere gli orrendi misfatti di cui si è macchiato nel corso dei secoli. Tassisti armati fino ai denti per sopravvivere in metropoli post-apocalittiche, tarzanidi provvisti di forza sovrumana che intendono rovesciare tiranni intergalattici e pirati alieni dipendenti dalle droghe sono alcuni tra i personaggi che ravvivano i nove racconti di Loc-Nar. La chiusura gloriosa, degna di uno scritto di Robert E. Howard, vede la prorompente eroina Taarna confrontarsi all’ultimo sangue con la sfera verde, in un finale pregno di fiducia nelle generazioni future capaci di preservare la sicurezza del mondo.
Nel segno di Ralph Bakshi
Heavy Metal può essere considerato un netto miglioramento dei lavori avanguardisti (piuttosto ingenui, a dire il vero) di Ralph Bakshi, basati sulla ricerca del realismo estetico tramite la tecnica di ricalco del rotoscope. A partire da soggetti di Dan O’Bannon (l’episodio del bombardiere B-17), Dan Goldberg e Len Blum, la supervisione artistica di Reitman e del regista Gerald Potterton coglie l’essenza della rivista originale, la rispetta e la rielabora in un connubio esplicito di eros & thanatos, reminiscenze tolkieniane e affettuosi ammiccamenti alla fantascienza anni Cinquanta (quella immaginifica ma al contempo timorosa nei confronti del positivismo scientifico). Pur trovandoci davanti a un sostanziale esercizio di stile retrò, il trionfo cromatico e iconografico di Heavy Metal lavora sui linguaggi dell’animazione per restituire uno strepitoso immaginario, sintetizzando in un solo film tutte le mode e i feticci degli anni Ottanta.
Per la sua stessa natura antologica, Heavy Metal vive di alti e bassi. Alcuni frammenti sono farraginosi e la rincorsa all’eccesso immaginifico potrebbe portare a saturazione gli spettatori meno avvezzi a tale genere di spettacolo; ma l’importanza del film di Potterton come inno alla libertà artistica (che in questo caso si contrappone al monopolio industriale della Disney) è inconfutabile e va oltre ogni possibile riserva o demerito.