Hellboy recensione del film di Neil Marshall con David Harbour, Milla Jovovich, Ian McShane, Daniel Dae Kim, Sasha Lane, Penelope Mitchell e Sophie Okonedo
Torna il demone nato dalla fantasia di Mike Mignola. Non stiamo parlando del terzo capitolo della saga diretta da Guillermo del Toro ma di un reboot che porta la firma di Neil Marshall e che si discosta dal precedente per un approccio più oscuro, più adulto. La volontà di questo nuovo adattamento è chiara sin dalle prime sequenze: virare verso tematiche più affini all’horror e costruire un mondo in cui convivano tutte quelle ispirazioni che sono alla base del comics, frullando elementi di generi diversi per arrivare a una costruzione di stampo post-moderno.
Laddove Guillermo del Toro aveva lavorato prevalentemente sulla sua predilezione per il fantasy (in particolare nel secondo capitolo), Marshall ribalta questa concezione e la piega al suo amore per il macabro, vestendo il suo film di una patina che fa più pensare ai classici della Hammer che non al cinema supereroistico dell’ultimo periodo. In Hellboy scorre sangue a fiumi e si procede per accumulo: di creature mostruose, di coreografie iper-violente, di momenti (forse volutamente) trash.
Questa nuova versione sceglie di stare a metà tra commedia e dramma e punta spesso sull’umorismo del protagonista, interpretato per l’occasione da David Harbour (Stranger Things). Il coinvolgimento di Mignola nella realizzazione del film aderisce all’obiettivo di restituire su schermo l’atmosfera generale del fumetto, con un’estetica di forte derivazione videoludica (in particolare nei combattimenti con i giganti).
Il coraggio non manca, quindi, e anche la visione d’insieme sembra in linea con lo spirito della controparte a fumetti. Purtroppo, però, a mancare è tutto il resto. Il film è eccessivamente sbilanciato, soprattutto nella seconda parte, verso l’action. La reiterazione degli scontri e i continui cambi di prospettiva fanno passare in secondo piano la psicologia dei personaggi (troppi e troppo raffazzonati) e la credibilità di una storia che vuole creare un amalgama impossibile tra le diverse linee narrative.
Hellboy diviene ben presto confuso, fracassone e nel complesso poco interessante. Persino il rimando alle gesta di re Artù o il solito parallelismo con il nazismo sembrano essere superflui in un contesto in cui a trionfare è il frastuono, sonoro e visivo. Per molti versi, in questo film sono presenti tutti quei difetti che avevano contraddistinto Doomsday, un lavoro coraggioso ma che non sapeva con sicurezza quale strada prendere.
Alcuni elementi di interesse, come la labilità del confine tra bene o male e la bontà d’animo che è indipendente dalla natura fisica, svaniscono all’interno di un’operazione che rimane soltanto in superficie.
In un panorama come quello attuale, nel quale anche il genere supereroistico può vantare esempi di grande spessore (persino sociale), Hellboy difficilmente potrà incontrare l’interesse del suo pubblico di riferimento. Un film destinato a diventare uno Scult, se le cose andranno bene, o più semplicemente a cadere nel dimenticatoio.
Sergio