Here recensione film di Robert Zemeckis con Tom Hanks, Robin Wright, Paul Bettany e Kelly Reilly [Anteprima]
Capita a tutti di tanto in tanto interrogarsi sulla storia di una persona che conosciamo oppure di un individuo che semplicemente ha attirato la nostra attenzione al punto tale da chiederci quale sia stato il suo percorso di vita. Lo stesso per quei luoghi che, inspiegabilmente, emanano un fascino misterioso che stuzzica la nostra fantasia.
Robert Zemeckis torna alla direzione accompagnato dagli attori Tom Hanks e Robin Wright con i quali aveva lavorato per Forrest Gump (1994) con una pellicola folgorante che indaga la vita nel vero senso della parola: tutto ruota intorno al salotto di una casa che per 100 anni ha accolto numerose coppie e famiglie che ne hanno fatto il proprio nido, uno spazio sicuro nel quale la vita scorre inesorabile tra gioie e dolori.
Fin qui tutto regolare, Zemeckis però decide di raccontare queste storie sovvertendo le regole del cinema tradizionale affidandosi a un unico punto di vista, un’inquadratura fissa sulla stanza che osserva con minuziosità tutto il ciclo vitale delle persone che la abitano, senza mai staccare la macchina da presa da quell’unico sguardo narrativo.
Il salotto diviene così un luogo inclusivo e divisivo nel quale potersi esprimere (come succede al protagonista Richard il quale riesce a liberare la sua creatività di pittore solamente quando si trova all’interno della stanza) ma allo stesso tempo che ci estranea dal mondo esterno impedendoci talvolta di osare e sperimentare nuovi orizzonti sociali, culturali e relazionali. Le persone cambiano, e chi abita la casa sostituisce gli oggetti obsoleti con nuovi pezzi d’arredo. Tuttavia, il salotto rimane sempre lo stesso: a differenza degli uomini e delle donne che lo hanno vissuto, è sempre stato presente, senza mai deludere o recare danno a nessuno, diventando invece l’unico punto fermo che ha accolto le tappe importanti della vita di ciascun membro della famiglia.
Lo spettatore si trasforma in un moderno voyeurista, con l’opportunità straordinaria di spiare attraverso il caleidoscopio della macchina da presa lo scorrere della vita dei protagonisti dell’opera. In questo modo, diventa quasi uno dei principali attori della storia, pur rimanendo impotente nel determinare gli sviluppi della trama.
Il salotto diventa così il topos per eccellenza all’interno del quale vengono vissuti e celebrati tutti i momenti più importanti della vita, una tela vuota che, ogni volta che viene abitata si irradia della luce e delle energie dei suoi nuovi abitanti e che celebra la vita di una comunità umana collaudando i legami relazionali.
Here è una grande finestra sul mondo di tutti noi che accarezza le corde più intime dell’animo, una sindrome di Proust composta di immagini in movimento che, tramite la magistrale scrittura e direzione di Zemeckis, ci fa regredire a stati emotivi e psicologici coinvolgenti e familiari. Il passaggio da un’epoca all’altra nel corso della narrazione avviene grazie a delle finestre temporali che si accendono e spengono tipiche del linguaggio fumettistico (n.d.r. l’opera è infatti tratta dall’omonima graphic novel di Richard McGuire) un’idea puntuale e perfettamente assimilabile alla fotografia dell’opera che crea una continuità all’interno della narrazione favorendo le transizioni e flash back.
Zemeckis torna alla direzione con un’opera ben riuscita che scalda l’animo dalla straordinaria capacità di raccontare l’essere umano nelle sue espressioni e contraddizioni grazie al pregio riuscire a trasformarsi e mutare la propria forma, così come avviene nel corso dei decenni per gli arredi di quel famoso salotto che ha visto così tante vite intrecciarsi e che, alla fine, si rivelerà in una forma inedita di fronte allo stupore di un emozionato spettatore facendoci capire quando la vita ci possa sorprendere fino all’ultimo secondo.