High Life recensione film di Claire Denis con Robert Pattinson, Juliette Binoche, André Banjamin, Mia Goth, Agata Buzek, Claire Tran e Jessie Ross
High Life di Claire Denis non è un film facile, e forse nemmeno per tutti, ma è sicuramente una storia intrisa di significati nascosti mitologici e filosofici.
L’opera potrebbe avere delle chiavi di lettura diverse anche solo in base a come traduciamo il titolo, che si può intendere come una vita altolocata, una sorta di aristocrazia e di “dolce vita”, oppure una vita “fatta” dove, pur non assumendo droghe, la quotidianità porta a non essere sobri e a non capire più il filo sottile che lega realtà e finzione.
La vita dei nostri protagonisti si svolge nello spazio, ma non parliamo di astronauti o di mera fantascienza, essi sono criminali imbrigliati in un braccio della morte alternativo, sconvolgendo la normale concezione che si ha del carcerato. I prigionieri infatti non sono rinchiusi dietro le sbarre a marcire come scarti sociali, ma partecipano ad una missione spaziale verso un buco nero per raccoglierne l’energia e salvare in questo modo la Terra.
La punizione può così diventare espiazione: rendere una mela marcia per la società una preziosa risorsa, offrendole l’occasione di diventare un salvatore. Un modo apparentemente migliore di percepire i criminali, ma di sicuro non un modo per rendere migliore la loro vita.
Lo spazio in quanto tale non è così funzionale alla storia, è un MacGuffin, un non luogo dove dar vita ad una società disfunzionale dedita alla sofferenza psichica e fisica. Spiccano nel gruppo di detenuti Monte, interpretato da Robert Pattinson, che ha usato come via di sopravvivenza l’abbandono di tutte le pulsioni che lo rendevano umano, in primis il sesso.
Nella navicella spaziale c’è una “fuckbox”, ossia una stanza dei piaceri, o degli orrori. Prima o poi tutti i detenuti ne hanno fatto uso, ma quando sarà il turno di Dibs, la dottoressa interpretata da Juliette Binoche, la fuckbox ci regalerà una delle scene più disturbanti e complesse di tutta la pellicola.
Disturbante e complessa non sarà solo questa sua scena rappresentativa, ma tutto il suo personaggio. A metà fra Medea e Circe, Dibs sembra una dottoressa, ma ben presto si rivelerà una criminale al pari o peggiore degli altri, matricida e assassina, che tenta di espiare il suo peccato volendo a tutti i costi far nascere un bambino sano all’interno della navicella. I tentavi di Dibs sono stupri fisici e violenze psicologiche che però riusciranno nel loro intento, dando vita a Willow (Jessie Ross).
High Life mette in luce una forte componente femminista, una matricida non pentita, donna come corpo in grado di uccidere un feto, e donna come nuova forma di vita nello spazio. Willow e Monte rimangono gli unici nello spazio, continuando ad alimentare la navicella che li tiene in vita e perseguendo il primissimo obiettivo.
Claire Denis porta sullo schermo un film ambizioso e potente, che ruota sulla fotografia e sul montaggio ma che in fin dai conti non inventa nulla, quanto più unisce elementi sci-fi di Solaris e la fenomenologia del sesso di Antichrist.
Una forma moderna e non convenzionale di Adamo ed Eva destinati, presumibilmente, a estinguersi piuttosto che a creare una nuova forma di vita.