Hive recensione film di Blerta Basholli con Yllka Gashi, Çun Lajçi, Aurita Agushi, Kumrije Hoxha, Adriana Matoshi e Molikë Maxhuni
Il conflitto per l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia ha causato la morte di migliaia di cittadini verso la fine del ventesimo secolo. Molti non hanno fatto rientro a casa, lasciando tantissime mogli con figli a carico nella povertà assoluta. A questo si aggiunge una mentalità arcaica piuttosto chiusa, secondo cui è l’uomo ad avere il diritto-dovere di lavorare per fornire sostentamento alla famiglia, mentre le donne devono rimanere a casa a badare al focolare.
Proprio sullo sfondo di questo scenario post-bellico si dipana la trama di Hive, opera prima della regista kosovara Blerta Basholli, attraverso la drammatica storia di Fahrije (Yllka Gashi) e del suo coraggio nel cercare di sopravvivere in un paese dominato da una atavica cultura machista e patriarcale. Da quando suo marito è risultato disperso durante il conflitto, Fahrije bada alla sua famiglia al massimo delle sue capacità, tra la vendita di miele e la produzione di ajvar, una particolare salsa di peperoni tipica delle zone balcaniche. Insieme alle sue amiche, anch’esse molte col marito scomparso, uniscono le forze per creare una vera e propria attività indipendente, scontrandosi però con la mentalità locale che preclude alle donne qualsiasi attività lavorativa.
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Basato su una storia realmente accaduta e riadattata per il grande schermo, Hive riporta con efficacia il profondo dramma che vive il Kosovo all’inizio del ventunesimo secolo, aggravato da una società ancora radicata a schemi e preconcetti che pongono la donna in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo. La regia di Basholli gioca con gli sguardi torvi dei vecchi abitanti, le loro crudeli parole contro Fahrije in sottofondo e le drammatiche scene di rappresaglia contro l’attività delle donne. Una vessazione continua riportata senza enfasi in un crescendo drammatico.
Inquadratura dopo inquadratura siamo sempre più vicini al dramma di queste donne e delle loro famiglie, i loro volti solcati dalla stanchezza e la miseria, così come i piccoli e maliziosi gesti degli abitanti maschi, che danno adito a dicerie e maldicenze diffondendole a macchia d’olio come un virus. Allo stesso tempo, soprattutto negli occhi e nelle azioni di Fahrije, risiede la forza della rivalsa e del riscatto, di una madre che vuole sono la sopravvivenza della sua famiglia e di tutto ciò che è caro. Proprio in questa sua volontà e spirito di sacrificio risiede l’essenza della pellicola: la volontà di andare avanti per ciò che è importante, remando contro tutto e tutti pur di fare solo ciò che è giusto.