Hold your Breath recensione film di Karrie Crouse e William Joines con Sarah Paulson, Amiah Miller, Annaleigh Ashford e Ebon Moss-Bachrach [Disney+]
Nell’Oklahoma del 1933, gli uragani di sabbia hanno spazzato via i campi e schiacciato le speranze degli abitanti del luogo. Margaret Bellum (Sarah Paulson) fa di tutto per proteggere le sue figlie (Amiah Miller e Annaleigh Ashford), le quali credono che là fuori, nella tempesta, si aggiri l’Uomo Grigio, capace di dissolversi come la polvere che respirano ogni giorno. Margaret liquida la cosa come una sciocca favola, ma l’arrivo di uno strano guaritore (Ebon Moss-Bachrach) la farà ricredere su cos’è reale e cosa no.
Hold your breath potrebbe essere definito un horror “materno”, essendo un film che sfrutta l’atmosfera paranoica e gli strumenti tipici del thriller psicologico e dell’horror per esplorare i lati più oscuri e inquietanti dei rapporti madre-figli. È interessante notare come l’esplorazione di questo tema abbia fornito al genere horror due gemme preziose alla sua corona. Nel 2001 The Others capovolse gli stilemi della ghost story gotica per esaminare il rapporto malsano, iperprotettivo e disperato di una madre nei confronti dei suoi bambini. Poco più di un decennio dopo, Babadook centrò alla perfezione lo stesso bersaglio, mostrando la lenta e graduale caduta nella follia di una donna incapace di conciliare la morte del marito con la crescita del proprio figlio.
Hold your breath cammina sulla strada tracciata da questi illustri predecessori, ma riesce solo a confezionare un abito leggermente diverso su una storia già vista. La foggia di quest’abito ed il vero punto di forza della pellicola è l’ambientazione: l’Oklahoma piagato dal Dust Bowl, una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti del Sud all’inizio degli anni Trenta. La miseria dei contadini ridotti all’emigrazione o alla fame, la tosse grassa dei bambini malati, i guaritori ciarlatani e i ritrovi delle donne del paese nei quali chiacchiere, pettegolezzi e dicerie portano notizie e orrore: tutto questo immerge perfettamente lo spettatore nella vita quotidiana dei personaggi, rendendo reali e viscerali le loro fatiche, le loro sofferenze e le loro speranze.
Quello che manca è il coraggio di abbracciare completamente il genere di appartenenza. Sogni, allucinazioni e sonnambulismo sono gli attrezzi usati dai registi e sceneggiatori Karrie Crouse e Will Joines per costruire la tensione, che però si accumula senza esplodere mai in qualcosa di davvero orrorifico, ma si sgonfia quasi sempre nella realizzazione che è tutto frutto della paranoia della protagonista.
Una paranoia folle che comunque non spaventa mai più di tanto, visto che i comportamenti preoccupanti di Margaret non sono nulla di nuovo per uno spettatore anche solo leggermente navigato, cosicché i passaggi che la porteranno alla follia diventano perfettamente prevedibili. Solo in un momento, quando la distrazione di Margaret le causa una particolare ferita, il film riesce a strappare una reazione di viscerale orrore, quello che costringe a distogliere lo sguardo e a serrare i denti.
Nonostante le performance attoriali degne di nota, tanto degli attori adulti quanto dei bambini, nonostante la fotografia suggestiva, la scenografia minuziosa e il curatissimo comparto sonoro, capace di rendere raccapricciante un semplice colpo di tosse, costruiscano un’atmosfera coinvolgente e viscerale, Hold your breath non riesce a dare qualcosa di più di una semplice riproposizione di un tema esplorato da precedenti molto più creativi.