Holy Spider recensione film di Ali Abbasi con Mehdi Bajestani, Zar Amir Ebrahimi, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad, Alice Rahimi e Sara Fazilat
Solidissimo thriller vecchia maniera
In una Cannes molto, molto ricca di thriller “vecchia maniera” e di film che sembrano guardare più o meno consapevolmente e capolavori del genere come Zodiac di David Fincher, in molti pronosticano che la Palma d’Oro verrà vinta da Holy Spider di Ali Abbasi e ne hanno di ben donde. Sarebbe un premio storico, che sottolineerebbe un silenzioso cambio di rotta nella selezione dei film in concorso e in generale nell’attitudine dei grandi Festival europei rispetto al tipo di pellicole che ritengono meritevole di attenzione.
L’apripista è stata Venezia, seguita negli ultimi anni da Berlino e Cannes: i tre grandi Festival cominciano ad essere meno rigidi rispetto a quel concetto di “autorialità” che da sempre guida le loro scelta. Ali Abbasi è un regista che qui dimostra una visione forte e una grande capacità di colpire allo stomaco con scene memorabili (su tutte il raggelante finale del film, uno dei più belli visti qui a Cannes). Tuttavia del concetto vero e proprio di “autorialità” qui c’è pochissimo, tanto che Holy Spider rischia anche di essere un’ottima hit per il pubblico generalista.
Il taglio vincente è quella di scegliere una cornice di genere molto tradizionale e semplice all’approccio per poi metterci dentro un mix esplosivo di storia vera di sapore true crime (la magnifica ossessione recente di un pubblico sinistramente affamato di autentiche narrazioni criminali a cui appassionarsi come racconti di fiction) e un commentario politico sull’Iran di oggi semplice, diretto e che rischia di essere attualissimo anche in nazioni dalla situazione geopolitica meno complessa. Un canovaccio vissuto su cui ribadire quanto la società iraniana sia una trappola mortale per la popolazione femminile, talvolta in modi tanto subdoli quanto raggelanti.
Abbasi non distoglie mai lo sguardo dalla realtà
Holy Spider racconta la più classica delle investigazioni poliziesche: una giornalista coraggiosa e insofferente alla rigida morale religiosa iraniana è disposta a mettere a rischio la sua vita pur di catturare un misterioso killer che ha già ucciso una decina di prostitute che lavoravano nella città sacra all’Islam di Mashhad. Killer che la polizia sembra incapace di catturare, di cui nemmeno tanto segretamente apprezza il lavoro e il credo (epurare la città dal vizio causato dalla condotta femminile). Non c’è una sola parola spesa per i clienti paganti che in questo vizio indulgono: è tutta colpa delle donne, costrette per necessità ad esporsi a una pratica mortale come quella di mettere in mostra e vendere il proprio corpo nelle notti iraniane.
Il punto di Holy Spider non è tanto il racconto investigativo e la seguente vicenda giudiziaria in sé, costruiti a partire da un vero caso di cronaca consumatosi tra il 2001 e il 2002 in Iran, quanto piuttosto mostrare la durezza della morale sociale, politica e religiosa locale, senza filtri. Non mancano – anche in concorso – film iraniani che raccontano la complessa realtà del paese, ma devono fare i conti con la rigida censura locale. Holy Spider invece non distoglie mai lo sguardo e fa della sua schiettezza la sua forza, mostrando scene da pugno allo stomaco anche per gli standard hollywoodiani, tra organi sessuali esposti e occhi femminili inquadrati mentre la vita li abbandona, tolta non solo dal killer materiale, ma da una società. Una popolazione in cui anche la componente femminile giudica le vittime come vere colpevoli della situazione, pur essendo perfettamente consapevoli di quale degrado spinga una donna nella pericolosissima situazione di battere i marciapiedi di una città iraniana.
Lascia l’amaro in bocca anche constatare quanto omicidi spietati, corpi barbaramente abbandonati sul ciglio della strada e violenza improvvisa e brutale finiscano per non essere così visivamente dirompenti come un personaggio femminile in un film iraniano che entro le mura di casa non ha la testa coperta dal velo, che fuma e si trucca.
Sono decenni di epurazione dei corpi e della normalità femminile dal cinema iraniano a dare la forza semplice e concreta di cui Holy Spider si potrebbe servire per arrivare alla Palma d’Oro. Il resto è solida costruzione narrativa, regia asciutta e senza fronzoli, un cast che fornisce ottime interpretazioni.