Hope recensione film di Maria Sødahl con Andrea Bræin Hovig, Stellan Skarsgård, Elli Rhiannon Müller Osbourne, Alfred Vatne Brean e Eirik Hallert
Arriva in sala Hope, dramma norvegese diretto da Maria Sødahl, film autobiografico in bilico tra speranza e dolore. Anja, registra ed autrice teatrale, si prepara a festeggiare il Natale insieme alla propria famiglia, ma una infausta diagnosi cambia completamente la prospettiva della sua vita. Nasce da qui un dramma familiare, intenso e maturo. La pellicola, con estrema intelligenza riesce a raccontare relazioni e reazioni personali nella difficoltà della malattia.
Un sottogenere certamente già visto, abusato a volte, che inevitabilmente provoca empatia nello spettatore. I temi trattati sono importanti e la paura intrinseca che una diagnosi terminale può portare è inevitabile. A differenza di altre pellicole in cui la malattia viene utilizzata come semplice espediente drammatico, in Hope il fulcro della storia è l’analisi e l’evoluzione di una relazione che di giorno in giorno si stava sempre di più spegnendo nell’indifferenza. Ecco che sotto i riflettori finisce il rapporto di Anja con suo marito Tomas, una storia d’amore matura e razionale, una coppia che stava andando alla deriva ma con i sentimenti pronti a riaffiorare all’ombra della tragedia umana. Rimettendo in gioco tutto, ponendo domande inaspettate ma essenziali. Capace in maniera molto delicata di trattare tematiche difficili.
Un film che insieme alla sua protagonista si interroga sul futuro, sull’amore, sulla morte ma soprattutto sulla speranza (come anche il titolo suggerisce). Sentimento presente, latente e che si propaga, senza esagerare, per raccontare una storia realistica e che sorprende per la narrazione estremamente pulita. Elimina tutto ciò che è superfluo. Lascia spazio ad Anja (interpretata da Andrea Bræin Hovig) e Tomas (interpretato da Stellan Skarsgård). I due attori dimostrano incredibile talento e capacità di raccontare, nel minimalismo più assoluto, una ampia varietà di emozioni e situazioni. Anja, fulcro della storia, domina costantemente lo spazio visivo; mentre il compagno di reazione cerca, disorientato, di rispondere alle sfide che la vita gli ha proposto. Sorprese e piccoli colpi di scena sono disseminati lungo i capitoli, scanditi dai giorni delle festività natalizie. Il vero motore narrativo, come nella vita, è l’incessante scorrere del tempo, che inesorabilmente toglie aria e respiro.
Regia di Maria Sødahl cruda ed essenziale, non stupisce particolarmente per il livello tecnico, il fulcro deve rimanere la storia e devono rimanere gli attori. Cinepresa sempre attaccata agli attori, cercando di cogliere appieno le innumerevoli sfumature ed emozioni contrastanti che la coppia vive. Cerca con grande essenzialità di raccontare in maniera cruda, quasi documentaristica, i giorni che sono destinati a sconvolgere la vita della protagonista e di chi le sta intorno, senza perdersi in facili melodrammi o situazioni strappalacrime, preferendo un approccio più intimo e maturo, seppure non troppo incisivo dal punto di vista delle inquadrature.
Interessante l’aspetto fotografico della pellicola, complice il periodo natalizio in cui è ambientata, mette in mostra un contrasto continuo, tra il caldo delle candele di festa ed il buio dell’inverno norvegese, così come tra il calore umano della famiglia ed il dramma personale che Anja sta vivendo. Hope si rivela un film adulto, struggente ma che nasconde tra il buio della malattia una inattesa speranza, pronta a scaldare con estrema delicatezza lo spettatore.