Hotel Portofino recensione serie TV Sky di Matt Baker e Adam Wimpenny con Natascha McElhone, Mark Umbers, Cecil Ainsworth, Anna Chancellor, Daniele Pecci, Lorenzo Richelmy, Carolina Gonelli, Lily Frazer
Tra le novità Sky, disponibile anche in streaming su NOW, è arrivato Hotel Portofino, period drama ambientato in Liguria.
Siamo nel post Prima Guerra Mondiale, negli anni di ascesa al potere di Benito Mussolini, in un hotel costruito e gestito da inglesi per inglesi o per persone che conoscono la lingua. È il 1926, circa, e gli avvenimenti delle sei puntate si muovono tra una stereotipata ricostruzione storica e un po’ di paradossali e prevedibili situazioni.
Hotel Portofino porta in scena le tre settimane di permanenza dei protagonisti all’interno dello stabile appena aperto. In uno sforzo di metter in luce una decadente borghesia che si continua a rifare alla nobiltà perduta all’indomani del primo conflitto mondiale. Si raccolgono i cocci, dunque, di donne per lo più che hanno perduto quasi tutto in guerra. Ma anche i pezzi rotti di chi è uscito dallo scontro ed è costretto a metter piede in quegli obblighi familiari che non si vorrebbero dover affrontare.
Come ogni period drama che si rispetti gli eventi che vengo sviscerati puntata dopo puntata rappresentano l’atto “presente” dei personaggi. Il tentativo è quello di costruire un crescendo di vicende situazionali al fine di complicare e conoscere le vite dei singoli ospiti dell’hotel. La prima puntata, infatti, funge un po’ da “spiegone narrativo”, nei suoi cinquanta minuti circa propone la presentazione dei caratteri che comporranno l’intreccio della trama. Il tutto, però, è preludio della superficialità con cui, non solo le tematiche sono state trattate, ma anche della loro caratterizzazione. Dunque, effettivamente manca il reale sprint a questa serie per poter essere qualcosa di più oltre la bella patina creata dalla stessa location.
Ma di cosa parla Hotel Portofino? Cosa aspettarsi?
Bella Ainsworth (Natascha McElhone) è una donna in cerca della sua seconda occasione. La casa di campagna che ha deciso di trasformare in hotel è la sua possibilità di nuovo inizio con uno sfondo soleggiato e italiano. Il tutto però non è così alla luce del sole come potrebbe sembrare. Il marito della donna è un Lord (Mark Umbers) che ha preferito i soldi all’amore e che adesso li sperpera senza averne un reale controllo, spingendo persino il figlio a replicare quanto fatto da lui.
Nelle sei puntate, quindi, assistiamo al modo con cui la donna cerca di barcamenarsi davanti a tutti i problemi che le si pongono davanti, ma il più delle volte resta attonita e sbigottita in attesa che qualcuno venga a salvarla. La sua espressione è per lo più svampita, tanto da creare un vero e proprio distacco col pubblico che osserva le vicende. I suoi consigli sono superficiali e situazionali il che, molto spesso, finiscono con l’essere tanto paradossali da creare amicizie e simpatie surreali. Persino davanti alle minacce di stampo mafioso-fascista il suo modo di agire resta sempre sul filo del rasoio per segnare quasi un “WTF?”. Finendo col fare affidamento sulle persone meno adatte al suo caso.
Di amori e cuori infranti se ne vedono realmente pochi e, quelle poche storie non sono scritte e approfondite tanto da poter creare una sinergia col pubblico. Non si è appassionati delle storie, non si può godere a pieno della compagnia di questa strana compagine di personaggi che si alterna nelle vicende. Il tutto è fin troppo superficiale per poter essere realmente “caldo” e quindi suscitare una quale emozione nell’audience. Non ci si affeziona a nessuno dei personaggi, si resta decisamente fin troppo distaccati dagli eventi.
Ci si perde, dunque, nei dettagli: prosecco e limoncello diventano i simboli dell’italianità ligure; e il socialismo misto a comunismo diviene pretesto per poter narrare e inserire il contesto situazionale della discriminazione. Un modo per aggiungere elementi in una narrazione che altrimenti risulterebbe abbastanza scialba e priva di una reale contestualizzazione. L’Hotel Portofino, infatti, senza questi elementi esterni sarebbe una specie di bolla infrangibile nella quale accadono eventi paradossali e fini a se stessi. L’hotel rappresenta un po’ l’opulenza dei suoi stessi ospiti. Una finta borghesia decaduta e decadente che cerca di stimolare le difficoltà che portano avanti la trama, ma che, come già detto, risultano prevedibili e scialbe.