I leoni di Sicilia recensione serie tv di Paolo Genovese con Miriam Leone, Michele Riondino, Donatella Finocchiaro, Vinicio Marchioni e Eduardo Scarpetta [Disney+]
Quando si ha a che fare con la storia, la nostra o qualsiasi altra, non va mai dato per scontato che il contesto lontano o esotico, proprio per la sua distanza temporale o spaziale, sia sufficiente a rendere un prodotto audiovisivo degno di nota.
Gran parte del merito, se non addirittura la totalità, dipende dalla capacità di riportare in vita queste personalità ormai ridotte a polvere, in modo che i loro difetti e virtù possano toccare lo spettatore contemporaneo, profondamente diverso da coloro che hanno vissuto quegli eventi con i propri occhi.
I leoni di Sicilia, la nuova serie distribuita da Disney+, diretta da Paolo Genovese e tratta dall’omonimo romanzo di Stefania Auci è l’ulteriore prova che non bastano i costumi a fare una storia o “la storia”.
Le vicende narrate sono quelle – basate su fatti reali – della famiglia Florio, uno dei nomi più influenti della Sicilia a cavallo tra XIX° e XX° secolo. L’epopea di una famiglia che per l’immaginario collettivo meridionale fa parte della leggenda e del mito.
Si parte dalle origini umili del piccolo nucleo familiare calabrese, trasferitosi a Palermo in cerca di fortuna sotto la guida protettiva del patriarca Paolo (Vinicio Marchioni), per giungere successivamente all’apice del benessere della famiglia fino al raggiungimento del successo, grazie anche agli sforzi del figlio Vincenzo (Michele Riondino).
Ciò che segue è la classica parabola del salto di classe, un’onta apparentemente incancellabile agli occhi di chi è nato nel “giusto” cantuccio di mondo.
L’assalto a questo territorio proibito, giardino dell’Eden proibito per coloro che hanno radici al di fuori dei suoi confini, è raccontato alla classica maniera “italiana” che, per quanto faccia male doverlo constatare, assume un’accezione negativa soprattutto se si accosta all’immaginario collettivo di una fiction trasmessa da un canale in chiaro.
Ecco, I leoni di Sicilia sembra la versione ad alto budget di uno sceneggiato televisivo che potremmo tranquillamente trovare in prima serata durante la stagione invernale. A parte il grande lavoro di ricostruzione – dal reparto scenografico a quello dei costumi – ogni altro elemento sembra trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La regia di Genovese non rende giustizia a questa Sicilia perduta (il che è strano perché non si tratta affatto di un autore inesperto). Tranne qualche sprazzo di intuizione, le due puntate proposte durante la 18° edizione della Festa del Cinema di Roma non mostrano mai un minimo di iniziativa stilistica.
Le vicende si susseguono come fossero osservate da un occhio noncurante, presente solo per mettere in sequenza una serie di avvenimenti. A peggiorare il tutto ci si mette anche la colonna sonora, mai avvincente e sempre fuori luogo, spesso colpevole di catapultare lo spettatore al di fuori della scena, portata avanti dalle interpretazioni della miriade di volti che entrano e escono dalla lunga saga della famiglia Florio. Il che è un vero peccato, perché le possibilità di realizzare un prodotto italiano di grande respiro, capace di competere con le produzioni internazionali più blasonate, c’erano tutte.
Parlare di un’opera a puntate senza averle viste tutte è sempre abbastanza problematico, perché non è raro trovare singoli episodi che riescono a coinvolgere rispetto all’intera serie.
Però, diciamo che, per come si è presentata, I leoni di Sicilia non sembra nulla di più di un’occasione mancata.