I Luminari – Il destino nelle stelle recensione serie TV di Eleanor Catton diretta da Claire McCarthy con Eva Green, Eve Hewson, Himesh Patel, Ewen Leslie, Marton Csokas, Richard Te Are e Erik Thomson
Arriva su Sky la miniserie in sei episodi I Luminari – Il destino nelle stelle (The Luminaries), diretta da Claire McCarthy e tratta dal romanzo di Eleanor Catton – qui anche in veste di sceneggiatrice e produttrice esecutiva – vincitore del Book Prize nel 2013.
Nelle isole della Nuova Zelanda nel 1866 si intrecciano i destini di diversi personaggi: Anna Wetherell (Eve Hewson), una giovane donna analfabeta che fugge da qualcosa del suo passato, ed Emery Staines (Himesh Patel), un aspirante cercatore d’oro. La reciproca simpatia e la promessa di ritrovarsi una volta sbarcati viene, però, infranta a causa dell’intervento di Lydia Wells (Eva Green), l’affascinante cartomante e indovina della città, che inganna e deruba Anna, convincendola a diventare la sua apprendista. A sua volta Emery è avvicinato dall’ex detenuto Francis Carver (Marton Csokas), amante di Lydia, che lo spinge a entrare in società con lui, fondando una concessione. Il vero piano dei due amanti è di arricchirsi e cominciare una nuova vita insieme, ma il ritorno inaspettato del marito di Lydia, Crosby Wells (Ewen Leslie), diventato ricco dopo aver trovato dell’oro, sconvolgerà i piani dei due e metterà in moto una catena di eventi dai risvolti inaspettati.
I Luminari – Il destino nelle stelle: una serie dall’impianto classico che non riesce a splendere come dovrebbe
Costruita su un complesso intreccio di vicende che si verificano in due linee temporali diverse (la storia inizia nell’ottobre del 1865, ma gli avvenimenti recenti hanno la data di giugno 1866), I Luminari – Il destino nelle stelle inizia in medias res, con un omicidio misterioso, nel cuore della notte, e la cui principale sospettata è Anna, diventata una prostituta e dipendente dall’oppio. Questo impianto di continui flashback per ricostruire le storie dei singoli personaggi non ha nulla di innovativo e crea non pochi inciampi nel seguire le avventure dei protagonisti.
La storia ricalca il romanzo della Catton, ma non è difficile intuire che adattare ottocento pagine in una miniserie di soli sei episodi non sia affatto un’impresa semplice e complice la trasposizione da un media all’altro è evidente che sono andati persi numerosi riferimenti che avrebbero reso più chiare non solo le dinamiche tra personaggi, ma anche i continui riferimenti al cielo e alle costellazioni. Infatti, al di là di accenni nei primi due e poi nel quinto episodio, la presenza dei segni dello zodiaco sembra essere inesistente, un labile filo conduttore che, tuttavia, non viene ulteriormente approfondito.
Altrettanto labile è la chimica e storia tra Anna ed Emery, i cui interpreti trascorrono insieme una quantità di tempo sullo schermo davvero esigua, per non parlare dei pochissimi dialoghi e dell’evoluzione del loro rapporto. Ciò che è subito chiaro è che si tratta di una storia di star-crossed lovers, “gli amanti separati dal destino“, un tropo narrativo che ha trovato fortuna già ai tempi di Romeo e Giulietta. In più, Anna ed Emery condividono la data di nascita e questo fa di loro una coppia di “gemelli astrali” e ciò li porterà a condividere il destino. Tuttavia, la sceneggiatura e l’interpretazione tutt’altro che memorabile di Patel non permettono davvero al pubblico di provare la minima attrazione per questa coppia di innamorati.
Personaggi femminili poco evoluti e un’occasione sprecata
A ciò si aggiunge che gli unici due personaggi femminili, Anna e Lydia, incarnano ancora l’opposizione tra donna angelo e villainess, e il viaggio di Anna è una discesa continua verso l’oscurità, un susseguirsi di eventi terribili a cui però, fino alla fine, la donna non riesce a opporsi. Eva Green è perfetta nell’interpretare l’avida Lydia, ma anche lei finisce nella trappola di muoversi all’interno della serie in risposta ai bisogni della sua controparte maschile. Spiccano in positivo Ewen Leslie e Richard Te Are, quest’ultimo nel ruolo del cacciatore Maori Te Rau Tauwhare, che insieme a Patel formeranno un’insolita amicizia basata su rispetto e condivisione di ideali e propositi.
La presenza dei Maori nel territorio neozelandese avrebbe potuto essere ulteriormente approfondita, così come quella della comunità cinese, continuamente vessata, anche per raccontare la storia da un punto diverso. In generale, anche i riferimenti storici e geografici non sono particolarmente approfonditi, forse a sottolineare che l’avidità dei cercatori d’oro era uguale in tutti i luoghi in cui c’era la corsa a questo minerale così ambito. Molti dei personaggi, infatti, si muovono guidati unicamente dai loro desideri egoistici, ma persino di quelli ci viene mostrato poco.
Nonostante una fotografia di alto livello, curata da Denson Baker, che ci lascia immergere nei paesaggi mozzafiato del territorio, e i costumi accurati e sontuosi di Edward K. Gibbon non è semplice promuovere I Luminari – Il destino nelle stelle. Una serie che avrebbe dovuto splendere, ma che, invece, fa fatica anche a emettere una debole luce.