I’m Really Good recensione film di Hirobumi Watanabe con Riko Hisatsugu, Nanaka Sudo e Keita Hisatsugu
Presentato in anteprima mondiale al Far East Film Festival 22, I’m Really Good è l’ultimissima fatica del regista giapponese Watanabe Hirobumi e della sua Foolish Piggies Films. Non ci sono attori professionisti, non c’è una troupe strutturata – lo stesso Watanabe ricopre il ruolo di operatore – e non c’è una vera e propria trama se non quella della vita vera.
In un bianco e nero distensivo, seguiamo una qualunque giornata della piccola Riko, una bambina che frequenta le scuole elementari in una non meglio precisata area rurale del Giappone. La camera del one-man-director ripercorre i momenti naturali che scandiscono il ciclo della veglia della protagonista, soffermandosi spesso sugli spazi in cui la vita accade. Il tempo si fa protagonista silente dello spaccato di vita di cui il regista vuole contemporaneamente essere spettatore e deus ex-machina.
Al lento scorrere della vita infatti si alternano con estrema delicatezza l’eco delle notizie provenienti dal mondo ed elementi di disturbo posizionati ad arte – il venditore/truffatore di libri di testo scolastici, interpretato dallo stesso regista – per turbare l’idillio della provincia e mostrare le discrepanze in quello che potrebbe essere un mondo perfetto.
Come se fossimo in un intimo reality show, il regista giapponese imbocca i suoi piccoli protagonisti sulle scene e i momenti da lui selezionati, ma evidentemente gli concede carta bianca sulle modalità espressive per ottenere una naturalezza controllata. Una sorta di scripted reality ma con un canovaccio minimo fatto solo di situazioni e accenni. Il risultato è un film molto intimo e dolce, in cui la vita viene addomestica per il tempo di una sola giornata attraverso gli occhi necessariamente ingenui dei bambini. In questo modo si ha l’illusione di una dilatazione che rende i 62 minuti della pellicola molto vicini alle 16 ore della routine quotidiana, senza avvertirne il peso o semplicemente sfiorandolo.