I molti santi del New Jersey recensione film di Alan Taylor con Alessandro Nivola, Michael Gandolfini, Ray Liotta, Vera Farmiga, Jon Bernthal e Corey Stoll
Il 27 dicembre del 2007 andava in onda, con circa sei mesi di ritardo rispetto agli USA, l’ultimo episodio de I Soprano. A suo modo è una data storica, perché rappresenta la conclusione di una delle migliori serie televisive di tutti i tempi secondo critici, accademici e semplici appassionati. La storia di Tony Soprano e della sua famiglia criminale italoamericana ha riscritto le regole della narrazione televisiva per tutti i prodotti a venire.
Se non bastasse questo a recuperarne la visione integrale, meglio dare un’occhiata alla sequenza che precede i titoli di coda e una dei più discussi stacchi su nero mai montati. Non esiste guida migliore per entrare in sintonia con I molti santi del New Jersey e riannodare i fili con una Newark che ha ancora molto da raccontare. Una serie che ha parlato per sei stagioni di violenza e quotidianità trova il suo epilogo in un diner della zona, Holsten’s, con il suo protagonista in attesa della sua famiglia per un cena. Qualcosa però lo turba, ogni volta che il campanello suona il suo sguardo corre veloce alla ricerca della porta d’ingresso del locale, forse per i suoi familiari, forse per timore dell’arrivo di persone poco desiderate. In sottofondo c’è una canzone dei Journey, Don’t Stop Believin’, che si interrompe bruscamente insieme alle immagini nel momento in cui sembra essere arrivata anche la figlia del boss di origini italiane. Alcuni secondi di nero, titoli di coda, fine.
La vita di un mafioso, si sa, non scorre su binari normali. Il tempo viene compresso e dilatato, racchiudendo in un arco più breve della media tutto quello che si sperimenta normalmente con pazienza e lentezza. Questo perché non è dato sapere di preciso quando si verrà chiamati a fare i conti con la giustizia e con la morte, pur cercando di esercitare un illusorio controllo su entrambe. Quindi questa è una scena di morte o una chiusura poetica? Entrambe? Gli elementi sul piatto sono sempre stati lì, pronti ad essere analizzati e collegati nelle più disparate teoria, ma David Chase ha deciso di mettere altra carne al fuoco con una origin story di tutto rispetto e del tutto equilibrata.
Uno dei punti di forza del capolavoro HBO è sempre stato quello di giocare magistralmente con la dimensione intima e personale delle forze del male ed ecco la necessità di contestualizzare l’humus in cui è proliferato uno studio di psicologia umana senza precedenti. Qui non si tratta di far quadrare i conti per giustificare le scelte televisive, ma di rendere organico il mondo in cui un boss della mafia è costretto a intraprendere un percorso di psicoanalisi. Che poi è quello che normalmente succederebbe a un ragazzo (Michael Gandolfini) con un padre biologico violento e assente (Jon Bernthal), una madre nevrotica (Vera Farmiga) destinata a rivivere nella fattezze della futura moglie, un padre elettivo (Alessandro Nivola) su cui proiettare le proprie speranze ma costretto a tradirle all’improvviso davanti allo stesso bancone di Holsten’s.
Non un dettaglio o una coincidenza, ma un ponte gigantesco lungo almeno quindici anni. Perché in fondo ci sono davvero tutti, evocati o in carne e ossa, per capire come tutto sia potuto accadere. Tornano Silvio, Paulie, Big Pussy, Junior, c’è addirittura la voce di Christopher Moltisanti a raccontarcelo, mentre fa la sua folgorante apparizione Giuseppina Moltisanti (una sorprendente Michela De Rossi) nello scorrimento di una genealogia fatta di sangue, proiettili e potere.
I Soprano non è una serie perfettibile, eppure I molti santi del New Jersey amplia un quadro estremamente preciso e dettagliato con pennellate intelligenti e chirurgiche, aumentandone il valore. Il film necessita della serie per arrivare correttamente a destinazione, ma quest’ultima si appropria delle sue informazioni per ricordarci come “quello che senti non è ciò che senti e quello che non senti è in realtà la tua vera agenda“.