I predatori recensione film di Pietro Castellitto con Vinicio Marchioni, Massimo Popolizio, Manuela Mandracchia, Pietro Castellitto, Giorgio Montanini, Dario Cassini, Anita Caprioli e Marzia Ubaldi
In concorso nella sezione Orizzonti della 77° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Pietro Castellitto presenta il suo film di esordio alla regia, I predatori. Il film si apre con un lungo piano sequenza. La camera segue vari personaggi che popolano il litorale di Ostia fino ad incrociare lo sguardo di Vinicio Marchioni che, con un sorriso sibillino, dà inizio a un’avventura tra realtà e realismo magico.
Le famiglie Pavone e Vismara sono molto diverse, per estrazione sociale e per il modo di vivere. Intellettuali, ricchi e borghesi da una parte e proletari, fascisti e incolti dall’altra. Una sorta di Romeo e Giulietta senza una storia d’amore in una Roma dove non esistono vittime, ma solo predatori e le due famiglie hanno entrambe dei segreti che verranno a galla in seguito a un incidente. La vita di un giovane assistente di filosofia appassionato di Nietzsche si incrocia con trafficanti di armi di Roma che si dividono tra affari e famiglia.
I predatori è un film confuso che non sceglie chiaramente un genere di appartenenza. I dialoghi risultano prevalentemente sconnessi e assurdi, finendo per essere ridicoli piuttosto che curiosamente criptici. Si passa da una storia all’altra, da un argomento all’altro senza una guida sicura e coerente. “Il popolo esiste come le montagne” recita il personaggio di Castellitto mentre sputa la birra sul bancone di un pub, azione inutile e forzata come altre qua e là che lasciano lo spettatore alquanto perplesso.
La regia ha delle idee interessanti e riuscite come il piano sequenza iniziale, l’insistenza sui primi piani, ma nel complesso il giovane esordiente sembra litigare con la macchina da presa con inquadrature tagliate, riprese dal basso verso l’alto, che risultano più un esercizio di stile e non tengono conto del senso generale del film.
Forse non aiuta la sceneggiatura, anch’essa confusa e a tratti volgare, “destabilizzante” come suggerisce il personaggio di Nando Paone nel film. “Il cinismo è la sola forma sotto la quale le anime volgari rasentano l’onestà” sosteneva Nietzsche e si comprende l’intenzione di Castellitto di analizzare la società contemporanea con le sue contraddizioni e i suoi limiti, ma è necessaria ancora un po’ di pratica per un risultato di impatto.
Tuttavia non mancano momenti esilaranti, riflessioni alla Woody Allen e scene suggestive che richiamano un cinema autoriale europeo come il giovane studioso che corre per strada in una zona residenziale deserta con una bomba rudimentale in mano indossando una t-shirt e un elmetto.