I tre moschettieri: D’Artagnan recensione film di Martin Bourboulon con Eva Green, Vincent Cassel, François Civil, Romain Duris, Pio Marmaï, Vicky Krieps, Lyna Khoudri, Eric Ruf e Louis Garrel
Ha ancora senso portare al cinema un film tratto dal capolavoro di Alexandre Dumas? Sì, se riesce a coniugare modernità e classicità come la pellicola diretta da Martin Bourboulon, I tre moschettieri: D’Artagnan, in arrivo nelle sale il 6 aprile 2023. A dicembre si aggiungerà il secondo capitolo I tre moschettieri: Milady.
Capolavoro indiscusso della letteratura francese, pubblicato nel 1844, I tre moschettieri è stato trasposto sullo schermo ben ventisei volte, non tutte riuscitissime. Ma la versione che arriva al cinema nei prossimi giorni è stata in grado di rispecchiare lo spirito del romanzo di Dumas allontanandosi quanto basta per risultare moderna e accattivante, senza inutili fronzoli. Punta su un cast di ottimi attori, una sceneggiatura a sei mani (Martin Bourboulon, Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patelliére), azione, dramma e quel tocco di ingenuo romanticismo per raccontare una storia di avventura e di coraggio in una Francia divisa dalle guerre di religione.
I tre moschettieri: D’Artagnan: la trama del film
Charles D’Artagnan (François Civil) è un giovane guascone diretto a Parigi per diventare moschettiere del re e seguire le orme paterne. Al suo arrivo rischia di restare vittima di un’imboscata di alcuni malviventi sul punto di assassinare una giovane nobile, guidati dall’enigmatica Milady (Eva Green). Quello che sembra un banale incidente si inserisce in realtà in un quadro più grande e complesso che vede coinvolto il re di Francia, Luigi XIII (Louis Garrel), alle prese con il malcontento che serpeggia tra la nobiltà cattolica e quella protestante, riunitasi nella fortezza di La Rochelle.
Ma se il re auspica la pace non è dello stesso parere il cardinale Richelieu (Eric Ruf), che per raggiungere i suoi loschi piani è disposto a smascherare la regina Anna d’Austria (Vicky Krieps), innamorata del Duca di Buckingham. Deciso a diventare moschettiere, D’Artagnan unirà il suo destino a quello di Athos (Vincent Cassel), di Porthos (Pio Marmai) e di Aramis (Romain Duris) nel tentativo di salvare il destino della Francia.
Un cast eccellente e personaggi ben caratterizzati
Martin Bourboulon riesce nell’impresa di tenere desta l’attenzione per l’intera durata della narrazione. Impresa non semplice, considerando anche la complessità della storia raccontata. I tre moschettieri: D’Artagnan è cinema allo stato puro con sequenze violente, corpi che lottano e duelli di cappa e spada ben coreografati; ma è anche intrigo grazie all’enigmatico Richelieu, che tesse le fila nascosto nelle ombre del palazzo e da Eva Green sempre più a suo agio nelle vesti di dark lady e spia, con un passato ancora tutto da scoprire.
Questa Milady è fredda, calcolatrice, meno sottomessa della versione di Dumas, più cupa e crudele, ma spezzata da una ferita che le è stata inferta e che non si è ancora rimarginata. I personaggi femminili – Anna, Milady e Costance Bonacieux (Lyna Khoudri) – sono ritratti autentici di diverse femminilità che, sebbene appaiano sullo schermo spesso solo in funzione della controparte maschile, riescono comunque in pochi minuti a dare l’idea che oltre la sfera romantica ci sia ben altro. Vale questo soprattutto per Vicky Krieps, sempre più a suo agio in vesti regali, che porta sullo schermo una regina malinconica a tratti rassegnata al suo destino e la cui solitudine è resa con evidente chiarezza.
Gli autori decidono di enfatizzare la divisione interna della Francia nella quale protestanti e cattolici sono ormai prossimi a darsi battaglia e fanno riflettere sia il conflitto esterno che quello interno in due personaggi, forse tra i più riusciti della storia: Athos e Luigi XIII.
Il primo, moschettiere del re, è una figura ombrosa e malinconica afflitto da un passato dal quale non riesce a liberarsi, i cui demoni interiori – come dirà Porthos a D’Artagnan – hanno imparato a nuotare nell’alcool in cui cerca di annegarli. La sua fede e il suo amore per la Francia lo spingono in opposte direzioni, obbligandolo a scegliere da che parte stare.
Il Luigi XIII di Garrel è una scoperta piacevole: ingenuo nella sua bontà, ma anche capace di acute riflessioni, non è una semplice marionetta ed è ben consapevole delle serpi di cui è circondato. Fino alla fine cercherà con ogni mezzo di evitare che la Francia sia devastata da una guerra interna.
Considerevole spazio lo occupa anche François Civil, l’interprete di D’Artagnan: ingenuo, appassionato, testardo è l’incarnazione dell’eroe che cade, impara dai propri errori e si rialza. Un ritratto convenzionale, ma non per questo meno coerente al racconto che vediamo sullo schermo. Altrettanto ben caratterizzati sono Porthos e Aramis, il primo anima godereccia e amante del piacere, il secondo meno damerino e più sadico seduttore; fedeli compagni di Athos e pronti a tutto pur di aiutarlo.
I tre moschettieri: D’Artagnan, una solida struttura per raccontare una storia già nota ma che sa ancora appasionare
Non basta un cast di ottimi attori per rendere un film riuscito, se I tre moschettieri: D’Artagnan funziona è anche merito di un comparto tecnico e di un budget di settanta milioni ben spesi in una perfetta ricostruzione del periodo rude e sporco, accostato ad una fotografia calda ed autunnale curata da Nicolas Bolduc, che dà al film l’aspetto di un’antica pergamena, preziosa e portatrice di avventure.
Tutto è tangibile nel film: i cavalli, il rumore delle spade che sbattono, i pugni, il sangue, c’è una solidità di fondo che àncora il film alla sua epoca e lo rende così riuscito. La gravitas della storia si mescola a una sottile ironia, una leggerezza che non stona, ma aiuta a non appesantire il racconto. Non ci sono particolari virtuosismi nella regia ma questa scelta rispecchia la natura stessa della pellicola. Ritorniamo alla domanda iniziale: ha ancora senso un film su I tre moschettieri? Sì, se la nuova versione riesce a catturare l’epicità della storia come lo ha fatto il lavoro di Martin Bourboulon.