Il buco recensione film di Galder Gaztelu-Urrutia con Iván Massagué, Antonia San Juan, Zorion Eguileor, Alexandra Masangkay e Emilio Buale
Diretto da Galder Gaztelu-Urrutia, Il buco racconta la storia di Goreng (Iván Massagué), un volontario che decide di entrare in una immensa prigione che si estende in verticale dove ai detenuti il cibo viene fornito attraverso una piattaforma che fluttua scendendo gradualmente tra i suoi tantissimi livelli: un sistema profondamente iniquo nel quale i detenuti dei piani superiori hanno la possibilità di prendere molto più cibo del necessario privando e affamando quelli dei piani sottostanti. Goreng decide di prodigarsi affinché questa ingiustizia cessi e i prigionieri riescano a dividersi equamente il cibo.
Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival nel 2019, dove ha vinto il premio del pubblico ed è stato acquistato da Netflix, Il buco in seguito è stato distribuito nelle sale cinematografiche spagnole a partire dall’8 novembre 2019 e ad Hong Kong dal 6 marzo 2020 incassando a livello globale circa 383mila dollari.
Riprendendo l’idea del panopticon elaborata nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, che ipotizzava la progettazione di un carcere ideale in cui fosse permesso ad un unico sorvegliante di osservare tutti i detenuti senza consentire a questi di capire se fossero in quel momento controllati o meno, Galder Gaztelu-Urrutia realizza la sua “personalissima distopia”, sovvertendo, e in un certo senso semplificando, gli schemi elaborati da Bentham e dando vita ad un complesso studio sociologico dove l’attenzione si alterna continuamente tra le azioni intraprese da un singolo individuo e l’effetto che queste scelte o questi comportamenti possono avere sulla collettività.
Accanto ad una sceneggiatura cinica, diretta, essenziale nella sua tesi e nella sua argomentazione, troviamo la costruzione di uno spazio sterile, a tratti soffocante e claustrofobico, in cui i protagonisti sono spinti a riflettere sulle loro intenzioni interrogandosi sul proprio futuro e sulla propria sorte, nel disperato tentativo di trovare una via d’uscita che li conduca più vicini all’idea di libertà.
Saranno il materialista ed hopkinsiano Trimagasi (Zorion Eguileor) e l’idealista Imoguiri (Antonia San Juan) a smuovere la coscienza di Goreng costringendolo a valutare – secondo il classico metodo socratico basato su domanda/risposta – le ragioni sostenute da entrambi i personaggi. La sua forza nasce quindi da un’assimilazione costante di elementi situati all’interno e all’esterno del proprio corpo, idee che si fanno largo nella sua mente spingendolo ad una nuova consapevolezza e, forse, verso una soluzione che possa rispondere alle esigenze collettive.
È in questa delicata e complessa realtà che Goreng decide di elaborare un piano, vittima delle disparità sociali createsi nel buco, ma conscio del potere delle singole scelte e di una volontà ferrea.
Nicola