Il caso Belle Stainer recensione film di Benoît Jacquot con Guillaume Canet e Charlotte Gainsbourg.
di Simone Luciani
Il professore Pierre e la moglie Cléa ospitano in casa loro la giovane Belle, figlia di amici stretti, per permetterle studiare in città. Ma quando la ragazza viene trovata morta nella sua stanza, Pierre diventa il maggior sospettato per il suo omicidio. Toccherà allora all’uomo non solo dimostrarsi innocente agli occhi della legge, ma anche affrontare l’opinione pubblica.
Il caso Belle Stainer si presenta come un thriller investigativo, ma la realtà è altrove. In realtà, è un dramma incentrato su Pierre e sul modo in cui affronta una situazione straordinariamente scomoda.
Guillaume Canet offre un’interpretazione immersiva con il suo Pierre, un protagonista che ricorda diversi stilemi di Scorsese: un uomo composto da debolezze incapace di mostrarsi forte, emotivo o di prendere posizione, tanto da diventare più spettatore che attore della propria storia. Tuttavia, il personaggio è sviluppato in modo maldestro, lasciando il pubblico freddo di fronte a una figura piatta, sorretta solo dall’abilità del suo interprete.
La nostra Cléa (Charlotte Gainsbourg) invece è il cuore della pellicola. Porta in scena un forte personaggio femminile che riesce a dar supporto al marito, ma senza mai sacrificare la propria indipendenza e il proprio ruolo, ben più attivo del protagonista, nella narrazione.
Il caso Belle Steiner è nel complesso un film che manca di mordente e di carattere, la sua politica è sterile e le sue tematiche già viste. Un’investigazione blanda e che, nonostante sia il centro narrativo del film, non viene mai esplorata. Neanche gli elementi più psicologici elevano un film che riesce a trovare piena potenza narrativa unicamente in un ottimo terzo atto.
Il regista Benoît Jacquot, in questo caso, non porta una marca autoriale capace di costruire sul phatos e sul thriller che vorrebbe presentare, lasciando il pubblico con la bocca asciutta.
Nella prima parte, il film rispecchia perfettamente il suo protagonista: stoico e privo di emotività. Si vaga attraverso la sceneggiatura senza mai approfondire tematiche o o prendere direzioni davvero interessanti. Tuttavia, questi elementi riescono ad entrare in gioco nella seconda metà, ben più attiva e coinvolgente, in cui lo spettatore riesce finalmente ad esplorare e a mettere in dubbio ogni aspetto del mistero. Ma, fatta eccezione alcune sequenze, la sceneggiatura non riesce a trasmettere pienamente sullo schermo la suspense o l’interesse desiderato.
Dal punto di vista formale, poco da eccepire. La fotografia trova non poche intuizioni, con ottime immagini, una bellissima composizione e molto, anche se a tratti eccessivo, movimento. Le immagini cercano di dare al film quella forza vitale che sembra mancare alla sceneggiatura, ma vengono indebolite da una colorazione poco interessante e un montaggio privo di forza.