Il caso Goldman recensione film di Cédric Kahn con Arieh Worthalter, Arthur Harari, Stéphan Guèrin-Tillié e Nicolas Briançon.
Pierre Goldman – ebreo e militante dell’estrema sinistra francese – viene arrestato con l’accusa di essere responsabile di quattro rapine a mano armata, una delle quali ha provocato la morte di due donne. Nel 1975 il caso viene trasferito alla Corte di Amiens. Goldman confessa tre rapine, ma nega quella in cui sono morte le due donne.
Convinto della sua innocenza e sospettandosi vittima di un complotto della polizia, Goldman sceglie di non chiamare testimoni in suo favore. Sarà il processo a decretare se si tratti di una sorta di moderno caso Dreyfus o di un colpevole particolarmente abile con le parole.
Il caso Goldman – eccezion fatta per la sequenza iniziale – è ambientato dentro l’aula del tribunale di Amiens e segue punto per punto le fasi del processo.
Lo spettatore viene catapultato in un’udienza messa in scena in modo realistico. Niente musica, niente voce narrante.
I primi scambi di battute mettono in luce il temperamento dell’imputato, un uomo complesso, combattuto fra i suoi istinti rivoluzionari e il suo essersi adattato alla vita in una società capitalista come quella francese. Il protagonista, interpretato da un ottimo Arieh Worthalter è sicuro della propria incolpevolezza e deciso a non appellarsi all’antisemitismo per sfuggire alla condanna.
Non voglio che si dica che un non ebreo non possa pensare che un ebreo possa uccidere, e che quelli che lo pensano sono antisemiti
Una personalità che non viene scandagliata fino in fondo, ma forse proprio per questo così affascinante. Le ambiguità e le contraddizioni di Goldman, non del tutto sviscerate, lo rendono un personaggio intrigante e misterioso.
Per quanto girato tutto nella stessa aula, il film non risulta statico. Diventa cruciale guardare le reazioni non verbali dei personaggi, su cui il regista pone il più delle volte l’accento. Per questo sono privilegiate inquadrature più larghe rispetto ai primi piani.
Non sono rappresentate visivamente le rapine, ma solo riportate oralmente dai testimoni. Il fulcro del film sta nel processo e non negli avvenimenti in sé.
Il caso Goldman di Cédric Kahn è un film che non fa il passo più lungo della gamba: assolve al suo compito di ricostruzione storica e – nonostante gli argomenti trattati – scorre abbastanza bene.
Anche se a volte viene meno l’aspetto narrativo in favore di una maggiore attinenza ai fatti, i tratti del protagonista emergono a sufficienza da farci affezionare alla sua causa.