Il collezionista di carte recensione film di Paul Schrader con Oscar Isaac, Tye Sheridan, Tiffany Haddish e Willem Dafoe alla Mostra di Venezia 78
Colpa, espiazione, redenzione. Non rende del tutto giustizia, ma è una credibile summa della spina dorsale della cinematografia di Paul Schrader. Una struttura paradigmatica che abbraccia ogni suo film e che, con Il collezionista di carte, gli ha permesso di concentrarsi sull’assenza di responsabilità nella società contemporanea.
Puoi essere istituzionalmente perdonato, forse possono farlo le persone attorno a te, ma il giudice più spietato rimane la propria anima. Prendete William Tell (Oscar Isaac), ex-torturatore americano ad Abu Ghraib imprigionato per i suoi crimini e riciclatosi giocatore di casinò dopo aver scontato la sua pena. Una figura misteriosa dal profilo bassissimo, a cominciare dal suo abbigliamento, che passa fa la spola tra motel e casinò per guadagnarsi da vivere con il conteggio delle carte.
Potrebbe alzare il tenore della sua vita, potrebbe avere di più, ma come si fa a desiderare qualcosa in più dell’anonimato e del silenzio dopo un’esperienza segnante come la tortura sistematica e degradante? Meglio nascondere la polvere sotto al tappeto, metafora che Schrader traduce nella meticolosità ossessiva con cui il protagonista del film avvolge in teli bianchi e immacolati le sue stazioni di riposo, neutralizzando al massimo l’ambiente.
Le immagini sono del regista americano, ma la questione è universale. È come un reflusso, un bolo che scende ma non ne vuole sapere di essere digerito anche se quello è il suo compito. La vitalità dominata dal caos trova sempre il modo di mescolare le carte in tavola e non c’è strategia di gioco che possa impedirlo. Si può circoscrivere, posticipare, ammorbidire ma il giorno di giudizio arriva e si risolve nella violenza perché a essere coinvolti sono sempre i corpi, eterni depositari e portatori di traumi.
Lo hanno capito i personaggi di Alessandro Manzoni, continueranno a scontrarcisi tutti coloro che stanno seguendo la parabola della vita: i guai tornano anche se si sta buoni buoni nell’ombra. A noi, compreso Paul Schrader, tocca semplicemente farci i conti.