Il colore della libertà recensione film di Barry Alexander Brown con Lucas Till, Lucy Hale, Cedric the Entertainer, Brian Dennehy e Lex Scott Davis
“Un giorno succederà qualcosa di veramente brutto, proprio davanti a te, e tu dovrai scegliere da che parte stare, e non scegliere è una scelta”. È probabilmente una delle frasi più importanti de Il colore della libertà, a pronunciarla è Rosa Parks – interpretata Sharonne Lanier – e non è indirizzata solo al protagonista del racconto, ma a ogni spettatore del film.
Tratto dall’omonima autobiografia di Bob Zellner, Il colore della libertà tratta con grande lucidità il tema della lotta ai diritti civili in un’epoca, quella degli anni ’60, che non è così lontana come alcuni potrebbero pensare. Sappiamo bene che il tema dei diritti civili è sempre più discusso e cadere nella facile retorica è molto semplice: a evitare la trappola ci pensa un cineasta di esperienza decennale come Barry Alexander Brown. Qui regista, egli è noto per essere il montatore di molti film di Spike Lee (uno dei produttori esecutivi del film) come – tra gli altri – Fa’ la cosa giusta, Malcolm X e BlacKkKlansman. Grazie anche alla sua esperienza nel cinema documentario il regista riesce a calibrare con efficacia il ritmo della pellicola e soprattutto riesce a non trasformare questo racconto nella storia di un giovane bianco che diventa una guida per la comunità afroamericana, bensì è la storia di un ragazzo che solo dopo aver subito delle ingiustizie comprende l’importanza della lotta anche per i diritti che non ci riguardano personalmente.
Quello del contrasto tra obiettivi individuali e bene collettivo è un tema evidente e approfondito all’interno del film: il nostro Bob Zellner, ben interpretato da Lucas Till, vive un netto percorso di crescita caratterizzato dall’acquisizione della consapevolezza dei soprusi e delle ingiustizie subite da una comunità in un momento storico fondamentale. L’adesione alla causa afroamericana da parte di Bob Zellner è inoltre resa più significativa dal suo background familiare: un nonno membro del Ku Klux Klan non può certo semplificare la sua vita e soprattutto il suo luogo natio, l’Alabama, lo porta a scontrarsi fortemente con chi la società vorrebbe che lui fosse. Molto potenti, in quest’ottica, le sequenze sul suo passato e sull’”educazione” vissuta dal giovane Bob.
L’evoluzione del protagonista, anche se a tratti didascalica, è coinvolgente soprattutto grazie alla capacità del regista non solo di colpire l’emotività dello spettatore ma anche di spingere il pubblico verso riflessioni non così scontate. Pur soffrendo di alcuni passaggi di montaggio non sempre precisi, Il colore della libertà racconta una storia tutta da scoprire e decisamente adatta ai nostri tempi.