Il colore viola recensione film di Blitz Bazawule con Fantasia Barrino, Taraji P. Henson, Danielle Brooks, Halle Baley e Colman Domingo [Anteprima]
Alla fine è successo. La Hollywood contemporanea, caratterizzata da un’ossessiva ripresa del passato, ha finito per rivolgere la propria attenzione alla filmografia di un regista fino ad ora considerato intoccabile, ovvero Steven Spielberg. Nasce così il primo remake basato su un film del re Mida di Hollywood.
In un periodo di forti tensioni sociali negli USA, incarnate da movimenti come Me too e Black lives matter, la scelta ricade su Il colore viola, che riassume in sé molte delle tematiche care a questi movimenti.
Trattandosi di un film che non necessitava di aggiornamenti sul piano tematico, si è deciso di cambiare il genere, trasformando un dramma storico in uno sfarzoso musical, rifacendosi all’omonimo spettacolo teatrale del 2005 (a sua volta tratto, come il film di Spielberg, dal romanzo Premio Pulitzer di Alice Walker pubblicato nel 1982).
La storia non subisce alcun cambiamento radicale: seguiamo sempre le vicende di Cecile (Fantasia Barrino), giovane ragazza nera abusata dal padre, che poi la darà in sposa al crudele Albert Johnson (Colman Domingo).
L’uomo trascorrerà più di due decenni a rendere un inferno la vita della moglie, schiavizzandola, picchiandola e separandola dalla sorella Nettie (Halle Baley), unica persona che le abbia mai voluto davvero bene.
A cambiare quindi non sono gli avvenimenti, ma il modo in cui sono portati su schermo.Il regista sostituisce quasi integralmente la pesante crudezza che aveva caratterizzato il classico spielberghiano con un’estetica molto più patinata e basata sul senso dello spettacolo.
Una decisione che da un lato porta a un risultato indubbiamente depotenziato rispetto all’originale, ma che dall’altro lato riesce a dare una componente che manca a molti remake dell’ondata recente: una propria identità ben definita.
In un’epoca caratterizzata da riproposizioni scialbe e senza personalità di capolavori (massimo esempio sono i live action dei Classici Disney), Il colore viola del 2023 (in America uscito a novembre; da noi arriva con tre mesi di ritardo) riesce effettivamente a ritagliarsi un minimo di indipendenza artistica dall’illustre predecessore.
I numeri musicali risultano efficaci e spettacolari, coadiuvati dalle ottime performance canore di un cast ben assemblato, che riesce a non sfigurare di fianco ai grandi nomi che avevano dato vita al capolavoro di quasi quarant’anni fa. Grazie a questo impianto spettacolare il film risulta godibile nonostante la già citata perdita di crudezza e la sensazione, presente in molti remake, che gli eventi avvengano non tanto spontaneamente quanto perché è necessario seguire una trama già scritta e già approdata sullo schermo.
La natura musicale del progetto fa sì inoltre che la narrazione sia meno affidata alle immagini e più alle parole. Molti sottotesti del film originale (come l’omosessualità di un personaggio) vengono qui palesati dalle bocche dei personaggi, in coerenza con la linea editoriale più didascalica tipica di molte produzioni mainstream contemporanee.
In definitiva, un film la cui confezione è più interessante del contenuto. Ma tale confezione è costruita con una capacità tale da assicurare uno spettacolo più che soddisfacente.