Il corsetto dell’imperatrice (Corsage) recensione film di Marie Kreutzer con Vicky Krieps
La figura di Elisabeth Amalie Eugenie von Wittelsbach, più nota come Principessa Sissi, Imperatrice di Austria, ha sempre fatto sorgere un grande interesse. Sono molti i prodotti che hanno raccontato la sua vita sotto differenti punti di vista. I più possono essere accomunati da un unico fil rouge: la sua proverbiale bellezza.
Il 7 dicembre arriva in sala Corsage (in italiano Il corsetto dell’imperatrice), film presentato a Cannes grazie al quale Vicky Krieps ha vinto il premio per la migliore interpretazione nella sezione Un Certain Regard. Ci si focalizza, ancora una volta, sulla bellezza di Sissi che però, sulla soglia dei 40 anni, sta via via sfiorendo. Si poteva affrontare la storia dell’Imperatrice sotto altri punti di vista, invece romanzando su fatti realmente accaduti la regista ha deciso di portare in scena la bellezza di una donna, come se questa fosse il centro del mondo.
Le difficoltà nel gestire il rapporto con gli altri sono ben note. Dalle sue biografie si può evincere quanto l’Imperatrice si sentisse violata quando era esposta allo sguardo altrui. Negli ultimi anni, era solita nascondere il proprio volto dietro un ventaglio. La voglia di sparire, in questo film, è sottolineata dai dettagli che evidenziano il suo disturbo alimentare. In Corsage tutta l’attenzione verte sul corpo della donna. Il suo privarsi del cibo, il vanesio tentativo di mantenere la bellezza catturata dai pittori, la voglia di svenire a comando: ecco come sarebbe Elisabeth superati i suoi 40 anni, secondo il punto di vista della regista Marie Kreutzer.
La narrazione ristagna sulla rappresentazione ossessiva della bellezza di Sissi, spingendo a considerare quasi secondaria la sua tempra ribelle. Il volto di Vicky Krieps, così come la sua interpretazione, è decisamente incollato alla delicatezza psico-fisica di questa Sissi. Si è romanzato sui fatti storici per poter cercare di rappresentare una donna estremamente moderna. Così facendo è stato possibile evidenziare il suo temperamento scostante: non solo un vezzo di gioventù, ma lo zoccolo duro della sua caratterizzazione. I suoi silenzi o i suoi sguardi diventano politica, in grado di mettere a repentaglio entrambi i suoi ruoli: pubblico e familiare.
Attraverso la figura storica, dunque, si è voluto dar respiro ad una rappresentazione più moderna. Il corsetto diviene simbolo di quel corpo stretto e martoriato dalle stecche che premono sulla pelle. Il vestiario dell’Imperatrice le toglie il respiro tanto quanto il ruolo che dovrebbe ricoprire. Svenire a comando è di gran lunga più facile che lasciarsi scandagliare dagli sguardi del pubblico pronti a giudicare l’invecchiare di una donna. La bellezza non è eterna e questo concetto, inserito all’interno di una figura storica che per tanto tempo è stata osannata per la stessa, funziona un po’ per contrasto. La narrazione, però, è lenta e prolissa e il ritmo cede il passo alle indulgenti sottolineature sui disturbi alimentari o sulla ricerca di quella bellezza.
Siamo davanti ad un’Imperatrice che cerca di allontanarsi dal suo ruolo politico, cedendo al vezzo della propria situazione mentale. La privazione del cibo diviene metafora della privazione del piacere, ricercato invece attraverso gli sguardi intimi scambiati col marito o con chi le riesca a ricordare quanto bella sia. Si eccede, purtroppo, in una ribelle rappresentazione non ancorata alla storia, sapientemente rievocata dai costumi e dalle musiche, ma totalmente persa negli usi e nei costumi della stessa Imperatrice.