Il grande passo recensione film di Antonio Padovan con Giuseppe Battiston, Stefano Fresi, Roberto Citran, Camilla Filippi e Flavio Bucci
Dalla regia di Antonio Padovan, già regista di numerosi cortometraggi e del film del 2017 Finché c’è prosecco c’è speranza, arriva la commedia Il grande passo, presentato durante il Torino Film Festival 2019, teatro della premiazione come migliore attore tanto di Giuseppe Battiston quanto di Stefano Fresi, interpreti dei fratelli Cavalieri.
Il cast è composto dai già citati Giuseppe Battiston (già adorato nel ruolo di Perfetti sconosciuti di Genovese) e Stefano Fresi (protagonista di C’è tempo di Veltroni, voce di Pumbaa nel remake de Il Re Leone), a cui si affiancano attori come Flavio Bucci (il cui nome rimarrà impresso nella storia del cinema italiano per la sua performance ne Il Marchese del Grillo) e Camilla Filippi, il cui debutto televisivo non le ha impedito di trovare posto anche sul grande schermo.
In una sequenza di apertura che non ha nulla da invidiare alla cinematografia americana, introduzione perfetta al tema del sogno ricorrente del film, conosciamo Dario, per alcuni un matto come tanti, che punta alla luna. Letteralmente. Mario, nella sua ferramenta di Roma, punta invece a trovare il suo telefono in un labirinto di viti, bulloni, e la voce di un aiutante chiacchierone. La telefonata, che doveva essere portatrice di una buona novella – per essere esatti, la vittoria di un frullatore -, si rivela essere una chiamata alle armi. Dario ha, non per sua volontà, bisogno di un parente. E Mario è l’unico davvero che può andare.
Mario e Dario sono fratelli, ma non potrebbero essere più diversi. Figli dello stesso padre, un inventore, un truffatore o forse entrambe le cose insieme, abbandonati in punti diversi delle loro vite, hanno un modo tutto loro di affrontare il trauma – l’assenza di una figura paterna – a seconda dell’esperienza pregressa. Soprattutto nelle scene in cui si ha a che fare con il padre – fisicamente o meno – Battiston e Fresi dimostrano di aver compreso in pieno l’essenza dei loro personaggi, i loro sentimenti e meccanismi di difesa. Uno dei due fratelli cercherà continuamente di giustificare il padre, vivendo l’abbandono come una necessità, un qualcosa di involontario, mentre l’altro si butterà su un debole sarcasmo e un realismo che lascia allo spettatore l’acido in bocca, vittima della parte più cruda del ritrovarsi a dover gestire, solo, il peso di un punto di riferimento che crolla.
Ricorrente è anche il tema del sogno, forse protagonista del film ancor più dei fratelli Cavalieri – il sogno di Dario di andare sulla luna, per tutti cosa impossibile, ulteriore motivo per crederlo folle, per lui musa a cui ha dedicato trentaquattro anni della sua vita. Un sogno incompreso, quindi, continuamente ostacolato, ma che lui insegue nonostante tutto.
La fotografia, se si fa eccezione delle scene di apertura e chiusura, non ha molto di notevole – la narrazione è tutta sulle spalle degli attori, poco è lasciato alla videocamera e ai giochi di luce. In una scena in particolare, in cui i cambiamenti di luminosità vengono utilizzati per aiutare lo spettatore a cogliere il variare dell’umore di uno dei protagonisti, il gioco si rivela superfluo – la sola espressione di Battiston sarebbe stata più che sufficiente.
La pellicola mostra delle mancanze nello sviluppo che, se durante lo svolgimento della storia possono sembrare accessorie, lasciano spazio a delle lacune importanti nella trama. I personaggi secondari – soprattutto alcuni di quelli con cui ha a che fare Dario – sono vittime di una caratterizzazione puramente essenziale, e lo spettatore lascia la sala cinematografica con delle domande prive di risposta, liquidate con brevi accenni al passato comunque insoddisfacenti.
La comicità, in alcuni punti forzata, strappa comunque qualche risata. Padovan si è cimentato nella creazione di una commedia quando il testo che aveva tra le mani covava il potenziale di essere molto di più, di poter rispecchiare una società che sta perdendo l’amore per i sogni, di poter mettere una mano sulle spalle di chi soffre per un abbandono.
Il film, nel complesso, è comunque molto gradevole, non solo grazie a degli attori meravigliosi in ogni loro sfaccettatura, ma alla penna internazionale di un giovane regista con tutto il potenziale di essere una boccata d’aria fresca nel cinema italiano.